L’ultimo rapporto di GermanWatch fotografa le politiche climatiche nel mondo e segnala ritardi strutturali e scelte controverse del nostro Paese, tra dipendenza dai combustibili fossili e obiettivi ancora lontani dagli impegni europei
Nell’edizione 2026 del Climate Change Performance Index (CCPI) l’Italia perde tre posizioni e scende al 46° posto, collocandosi nella fascia “bassa” del ranking. Il dato è particolarmente significativo dal momento che arriva in una fase cruciale per l’attuazione degli obiettivi climatici europei, confermando una difficoltà ormai strutturale per il Paese nel mettere a terra contromisure efficaci per combattere i cambiamenti climatici.
Secondo l’analisi degli esperti di GermanWatch le emissioni di gas serra e l’uso dell’energia ricevono per l’Italia valutazioni intermedie, mentre il punteggio cala sensibilmente sul fronte delle energie rinnovabili e, soprattutto, delle politiche climatiche, giudicate “molto deboli”. Proprio quest’ultimo indicatore contribuisce in modo decisivo – secondo l’analisi – all’arretramento dell’Italia e anticipa alcune criticità che emergono con chiarezza nel resto del rapporto.
Un indice per misurare la credibilità climatica dei Paesi
Per comprendere il peso di questo risultato è utile guardare a cosa rappresenta il CCPI. Pubblicato ogni anno dal 2005 da GermanWatch insieme al NewClimate Institute e al Climate Action Network, l’indice è diventato uno strumento di riferimento per monitorare l’azione climatica dei governi e portare sempre più trasparenza nel dibattito internazionale.
Il CCPI, la cui edizione 2025 è stata presentata alla COP30 di Belém il 18 novembre, combina dati quantitativi e valutazioni qualitative, basandosi sul contributo di circa 450 esperti di clima ed energia. L’obiettivo, oltre alla realizzazione della classifica, è evidenziare chi sta guidando la transizione e chi, invece, resta indietro, in un contesto in cui pare gli impegni attuali appaiono insufficienti a mantenere il riscaldamento globale entro i limiti stabiliti dall’accordo di Parigi, gli 1,5° rispetto ali livelli preindustriali.
Tra i principali fattori alla base della performance negativa dell’Italia c’è, secondo il documento presentato a Belém, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC), aggiornato nel 2024 e indicato come la spina dorsale della strategia climatica nazionale. Secondo il CCPI, il Piano non prevede un obiettivo di riduzione delle emissioni valido per l’intera economia entro il 2030 e fissa per i settori non soggetti al sistema europeo di scambio di quote di emissione un taglio inferiore a quanto richiesto dalla normativa europea.
Il report parla di un’impostazione poco ambiziosa e incoerente con gli impegni assunti dall’Italia a livello europeo e internazionale, in particolare con l’Accordo di Parigi. Il risultato – si legge nelle pagine del report che riguarda l’Italia – è un disallineamento che rischia di rallentare ulteriormente il percorso di decarbonizzazione.
Una transizione ancora frenata dai combustibili fossili
Il rapporto insiste su un punto in particolare: la dipendenza dell’Italia dai combustibili fossili. Manca un piano credibile per l’eliminazione dei sussidi e il gas viene ancora considerato una soluzione di transizione, con l’ambizione di trasformare il Paese in un hub energetico mediterraneo.
A questo si sommano il rinvio dell’uscita dal carbone al 2038, la presenza di numerosi nuovi progetti infrastrutturali legati ai fossili e il ricorso a opzioni controverse come il ritorno al nucleare e la cattura e stoccaggio della CO₂. Scelte che, secondo il CCPI, finiscono per limitare lo sviluppo delle rinnovabili, nonostante un potenziale giudicato ampiamente sottoutilizzato.
Trasporti ed edifici, i settori più in difficoltà
Le criticità diventano particolarmente evidenti nei settori dei trasporti e degli edifici, decisivi per la riduzione delle emissioni. Il PNIEC prevede 6,5 milioni di veicoli elettrici e una quota del 34% di rinnovabili nei trasporti entro il 2030, ma l’attuazione procede a rilento. Nel 2024 le immatricolazioni di auto elettriche si sono fermate al 4,2%, sotto la media UE, e le emissioni del comparto continuano a crescere.
Anche sul fronte dell’efficienza energetica degli edifici il giudizio è negativo. La riduzione degli incentivi per le ristrutturazioni e l’assenza di nuovi strumenti per migliorare le prestazioni di riscaldamento e raffrescamento segnano un arretramento delle politiche, mentre nell’industria manca ancora una strategia di decarbonizzazione strutturata.
