Gli studi sulla carne creata in laboratorio aumentano sempre di più ma la commercializzazione è ancora lontana in quasi tutti i paesi del mondo
Mangiare carne senza dover allevare e uccidere un animale, senza deforestare per fare spazio alle colture di soia con cui si nutrono gli animali degli allevamenti intensivi, senza emettere grandi quantità di CO₂, senza consumare suolo e enormi quantità di acqua, e senza inquinare suoli e falde acquifere. Farlo è già realtà, grazie alla carne sintetica (chiamata anche carne coltivata o carne artificiale o carne in vitro). È un cibo che sta prendendo sempre più piede e si sta proponendo come promettente alternativa alla carne tradizionale, oltre che alle varie “carni” vegetali. La tecnica che vi sta alla base è in studio da più di un decennio, ma i suoi enormi costi l’hanno resa per anni lontana dal mercato e dai consumatori. Negli ultimi anni, però, i costi si stanno notevolmente abbattendo. Recentemente è stata annunciata la costruzione negli Stati Uniti del più grande impianto al mondo di produzione di carne coltivata, e ormai nel globo esistono numerose start-up (una anche in Italia) e alcune grandi aziende che producono questo nuovo alimento. Vale la pena capire cosa è e a che punto è la sua diffusione.
Cos'è la carne sintetica?
La carne sintetica è carne animale a tutti gli effetti ma, invece di essere prodotta a partire dalla macellazione di un animale, proviene da cellule, che vengono fatte proliferare artificialmente in laboratorio. Si inizia con una piccolissima quantità di tessuto muscolare dell’animale del quale si vuole ricavare la carne: basta una piccola puntura per prelevare alcune cellule (ovvero una biopsia). Poi in laboratorio si isolano le cellule più adatte. Di solito si isolano le cellule non differenziate, cioè le staminali, quindi si mettono queste in coltura per la crescita. Metterle in coltura significa metterle in un bioreattore. Il bioreattore è il luogo simile a una vasca di fermentazione della birra dove le cellule sono alimintate perché crescano e si duplichino grazie a nutrienti (grassi, proteine, carboidrati, vitamine, zuccheri, minerali) e ossigeno. Si formano così delle fibre, che con il tempo aumentano di massa e formano veri e propri muscoli, cioè la carne. Finché sono nel bioreattore questi muscoli sono vivi e quindi si contraggono come un muscolo vero. Per fargli prendere la forma desiderata vengono usate tecniche di stampa 3D oppure le fibre sono precedentemente fatte crescere in una intelaiatura della forma desiderata. Oggi con questa tecnica si è arrivati a produrre hamburger, macinato, bocconcini di pollo, mentre si è ancora lontani dal produrre una bistecca.
Quali problemi potrebbe risolvere?
Coltivare carne con questa tecnologia, eliminando l’uso di animali, permette di superare diversi problemi: in primis quello etico di chi oggi sceglie di non mangiare carne perché non vuole che siano uccisi degli animali. Inoltre elimina i problemi legati agli allevamenti intensivi: di maltrattamento e condizioni di vita crudeli degli animali, di uso spropositato di antibiotici, di inquinamento dovuto allo smaltimento dei liquidi reflui che i grandi allevamenti producono in quantità non assorbibili dal terreno, di emissioni di gas serra e di consumo di acqua. Ad oggi per produrre carne sono uccisi ogni giorno 130 milioni di polli e 4 milioni di maiali. Considerando il peso, il 60% dei mammiferi sulla terra sono animali allevati, il 36% sono umani e solo il 4% sono animali selvatici. Poi elimina molti problemi ambientali legati alla produzione della carne con i metodi tradizionali: innanzitutto la deforestazione legata alla necessità di grandi aree coltivabili per produrre i mangimi degli animali (principalmente soia), e poi le enormi emissioni di tutti e tre i principali gas serra (il metano, proveniente dal processo digestivo animale, l’anidride carbonica CO₂ e l’ossido nitroso N₂O) causati dall’intera filiera di produzione. È stato stimato che con la carne sintetica potrebbe ridursi di ¾ la produzione di gas serra e di oltre il 90% il consumo di acqua.
Ma c’è anche un potenziale problema ambientale dovuto alla carne sintetica, ed è legato all’energia necessaria agli impianti di produzione. Come gli allevamenti, anche i laboratori consumano grandi quantità di energia, perciò molto del loro impatto ambientale – se non tutto – dipende da quali fonti di energia si approvvigionano. Non ci sono ancora studi con numeri da poter confrontare ma è chiaro che, come per tutte le altre industrie energivore, anche quella della carne coltivata dovrà usare energia prodotta da fonti rinnovabili per ridurre il proprio impatto climatico.
Quando arriverà sulle nostre tavole?
Il primo essere umano che ha mangiato della carne coltivata lo ha fatto nel 2013, si chiama Josh Shonwald e ha riferito che la carne da lui assaggiata sapeva “di polpettone”. Per produrla, a quel tempo servirono due anni e 250.000 dollari. Oggi la carne coltivata è consumata a Singapore, dove ha ricevuto l’approvazione normativa per la commercializzazione nel 2020, e in altre parti del mondo (come gli Stati Uniti) sta aspettando una regolamentazione da parte delle autorità competenti. Nei Paesi Bassi, in Europa, sono stati autorizzati dei test di assaggio della carne sintetica prodotta dalle aziende nazionali.
Nonostante l’annuncio dei grandi impianti negli Stati Uniti, è ancora lontana la capacità di produzione di quantità adatte ai mercati nazionali e internazionali, per i quali comunque la carne sintetica deve ancora essere autorizzata in quasi tutto il mondo, cosa che sembra già vicina in paesi come Israele. Non sappiamo se e quando questo nuovo alimento sarà disponibile a grande scala. Quello che sappiamo è che entro il 2050 per sfamare l’intera popolazione mondiale dovremo produrre il 70% del cibo in più rispetto a oggi, ma con meno risorse naturali disponibili. Forse di fronte a questo scenario la carne sintetica diventa un prodotto più plausibile all’interno delle diete dei paesi ricchi.