Site icon Sorgenia UP

Boschi e foreste: l’avanzata del bosco, problema o risorsa?

La deforestazione è uno dei grandi problemi ambientali che l’uomo si sta trovando ad affrontare nell’ultimo secolo e che porta alla perdita annuale di circa 10 milioni di ettari di foreste (FAO), principalmente a causa delle attività umane di conversione di uso del suolo.

Questo fenomeno però non è omogeneo in tutto il mondo, ma si concentra in tre bacini forestali di estrema importanza, vista la presenza di estese foreste vergini: Amazzonia (Sud America), Congo (Africa) e Sud-est asiatico. Nonostante le intense attività di deforestazione il tasso mondiale di perdita netta di foreste è progressivamente diminuito dal 1990 e ciò significa che per alcuni Paesi (soprattutto in Europa) la tendenza è inversa, con un progressivo aumento delle superfici boscate. Secondo il report della FAO “Global Forest Assessment 2020” l’Italia si trova al 9° posto tra i Paesi con il più alto tasso medio annuale di aumento netto di superficie forestale e, sebbene ad un primo impatto questa notizia possa far gioire e dare speranza, la questione è ben più complessa e si intreccia con un fenomeno diffuso soprattutto nei Paesi industrializzati dove porta a notevoli conseguenze: lo spopolamento e l’abbandono delle aree rurali.

Le regioni montuose e le aree rurali stanno infatti affrontando, a partire dagli anni Cinquanta (con un inizio graduale già dagli anni Venti) un progressivo “esodo rurale” che vede le popolazioni spostarsi verso valle e verso le città, luoghi con maggiori possibilità lavorative e più comodità e servizi. Le conseguenze di questi fenomeni di abbandono e marginalizzazione sono evidenti, con una perdita di capitale culturale, identitario e sociale, oltre che una compromissione di un paesaggio plasmato e modellato in migliaia di anni per consentire la convivenza tra uomo e natura e che oggi rischia di scomparire del tutto. Inoltre, l’identità culturale e tradizionale di questi luoghi, spesso proprio per il loro isolamento e la scarsa influenza delle grandi città è un patrimonio da mantenere e valorizzare che rischia di essere dimenticato per sempre. A fare da sfondo a questi processi socioeconomici c’è la globalizzazione e l’industrializzazione delle aree vallive e della pianura, con un processo di cementificazione spinto dalla necessità di creare attività economiche e trasporti per attirare sempre più lavoratori dai paesi di montagna. La sussistenza in queste aree rurali era (e in pochi casi è) basata su un’agricoltura tradizionale, poco intensiva (e di conseguenza poco redditizia), che permetteva anche indirettamente di conservare genotipi di specie vegetali locali e di valorizzare il territorio.
Soprattutto per questi motivi l’Unione Europea, grazie ai fondi del PSR (Piano di Sviluppo Rurale) sta cercando di tutelare e dare sostegno al settore agricolo-forestale delle aree più marginali, al fine di creare delle “Eccellenze rurali” in cui l’agricoltura e la selvicoltura non sono solo attività economiche ma parti integranti di uno scenario quotidiano in cui la produttività di intreccia con la vita sociale e il contesto territoriale.

Sebbene si pensi che tutti i boschi abbiano un’origine naturale, le foreste primarie in Europa sono poche e frammentate, come riportato dal recente studio del JRC (Joint Research Center) dell’UE intitolato “Mapping and assessment of primary and old-growth forests in Europe”, che identifica solo l’1,2% del territorio UE come “old-growth forest”, cioè foreste vetuste che presentano un’elevata complessità ecologica, frutto di dinamiche naturali avvenute senza l’interferenza umana. Traslando il dato sul territorio forestale, circa il 97% ha subito, nei secoli, interferenze da parte dell’uomo, che ne hanno modificato la forma, la composizione e le interazioni strutturali.
Questa interazione tra foreste e uomini ha portato a conseguenze molto diverse: se da una parte lo sfruttamento dei boschi con tagli frequenti e modifica della composizione ha creato una semplificazione ecologica, dall’altro l’interazione tra boschi e agricoltura ha portato alla formazione di praterie e pascoli semi-naturali dall’altissimo valore ecologico e naturalistico che sopravvivono soltanto grazie all’intervento dell’uomo.
Proprio a causa dell’abbandono dell’agricoltura, delle malghe e degli alpeggi, si sta assistendo ad una progressiva scomparsa di questi ambienti, che vengono in pochi anni sostituiti dai boschi, andando a perdere un patrimonio floristico e faunistico di notevole rilevanza, formato tramite l’attività secolare di sfalcio dei prati e di pascolamento. Alcuni di questi habitat, come ad esempio le praterie aride di Festuco-Brometalia o le comunità a Nardus sono ambienti semi-naturali protetti dalla Direttiva Habitat (92/43/CEE), il più importante strumento per la conservazione della biodiversità dell’Unione Europea.

Non solo, dunque, questi ambienti sono tutelati per la loro valenza naturalistica e perché ospitano specie di rilevanza europea, ma sono anche considerati habitat prioritari, che quindi rischiano di scomparire per sempre e il loro principale “nemico” è proprio l’avanzata del bosco.

di Paolo Rumiz

Partendo da questo estratto di un articolo scritto dal giornalista Paolo Rumiz, si evidenzia come la gestione corretta dei boschi non abbia solo uno scopo economico, ma che anzi sia fondamentale per poter diminuire il rischio di dissesti idrogeologici, che portano conseguenze nefaste per le popolazioni e gli insediamenti che si trovano più a valle rispetto al territorio abbandonato. Un bosco gestito consente infatti di poter strutturare gli interventi selvicolturali per diminuire rischi specifici come, ad esempio, il rischio di incendio, il rischio di frane e smottamenti, il rischio di valanghe e di alluvioni. Di conseguenza se l’aumento della superficie boschiva nel nostro Paese non è accompagnato da un’attenta gestione e pianificazione forestale, si corre il rischio di trovarsi con boschi non fruibili, con scarso valore paesaggistico, un elevato rischio di incendio e di problematiche legate alle specie invasive e alle ostruzioni degli alvei fluviali.

Una questione piuttosto rilevante nel nostro Paese è proprio relativa alla quantità di boschi non gestiti rispetto alla superficie totale. Se più di un terzo della superficie nazionale è coperta da boschi, meno del 20% di questa presenta una pianificazione dettagliata a livello aziendale che consenta di individuare i sistemi di governo migliori, le funzioni prevalenti e organizzare i tagli da effettuare. La gestione forestale risulta essere senza alcun dubbio lo strumento fondamentale per valorizzare le risorse ambientali e le funzioni sociali ed economiche del bosco, conciliando le necessità produttive con gli obiettivi di tutela della biodiversità, dello stock di carbonio e della protezione dai disturbi naturali.

Rispetto quindi alla reazione collettiva di felicità nel sapere che il “bosco si riprende i suoi spazi”, ricordiamoci che anche l’uomo fa parte della natura e che nelle migliaia di anni di espansione ed evoluzione sui territori montani quella natura ha imparato a conoscerla e a conviverci, fino ad arrivare ad un labile equilibrio in cui le risorse vengono utilizzate con attenzione e con un’ idea di perpetuo ciclo e di sussistenza, sostenendo un territorio che non fornisce solo beni, ma anche identità culturale e tradizioni e che sta progressivamente scomparendo. Ed è proprio su questa idea di ciclicità che oggi si basa la corretta gestione dei boschi: tagliare (seguendo una pianificazione oculata) non vuol dire distruggere, ma anzi fare spazio alla rinnovazione e a ciò che verrà dopo.

L’avanzata del bosco si sta lentamente “mangiando” le piccole comunità montane, distruggendo secoli di storia e tradizione e in assenza di un’attenta pianificazione rischia di creare più problemi che benefici, aumentando la difficoltà di gestione di un territorio già fragile di per sé.

Exit mobile version