La ceo della società benefit nata nel 2016: “Utilizziamo gli scarti del riso per produrre materiali sostenibili, dai mattoni agli intonaci. E vogliamo creare una filiera green coinvolgendo le attività produttive del territorio”
Trasformare l’edilizia all’insegna della sostenibilità: non soltanto azzerando le emissioni di CO2 di cui è responsabile, ma dando vita a un’attività che arriva a catturare e stoccare l’anidride carbonica, quindi a impatto negativo. È questa l’idea attorno alla quale si è sviluppata Ricehouse, la società benefit che parte dagli scarti del riso per creare materiali per l’edilizia, per il design, e per altre soluzioni green anche in ambiti diversi. Ricehouse è nata nel 2016 come startup innovativa fondata da Tiziana Monterisi, architetto, e Alessio Colombo, geologo, compagni nella vita e nel business. In quest’intervista Tiziana, ceo dell’azienda, racconta come è nata e come si sta sviluppando l’idea.
Come è nata l’idea?
In realtà il lavoro preparatorio per la nascita di Ricehouse è durato 15 anni, dall’inizio degli anni 2000. Un periodo nel quale ho sperimentato e cercato materiali naturali che potessero essere utili per quella che io considero la nostra “terza pelle”, gli spazi costruiti in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo, che siano la casa, l’ufficio, la scuola o la palestra. In quest’arco di tempo ho sperimentato i pro e i contro di un gran numero di materiali naturali, e poi con l’arrivo a Biella, che in Italia è la città più a Nord in cui si coltiva riso, è nata l’idea. Ci siamo chiesti cosa venisse bruciato nei campi dopo aver tagliato il riso, e così abbiamo scoperto gli scarti di questa lavorazione. Da qui è partita un’attività di ricerca che ci ha portato a mettere a punto e sperimentare materiali di nuova concezione per l’edilizia, che abbiamo utilizzato in diversi cantieri, tra i quali quello della nostra casa, e che oggi sono diventati prodotti certificati, industrializzati e commercializzati.
Il principio da cui siamo partiti è quello dell’economia circolare. I coltivatori di riso producono nutrimento per l’uomo, noi prendiamo gli scarti per produrre materiali che a fine vita torneranno nei campi da cui provengono. Il nostro desiderio è stato dall’inizio quello di cambiare le regole del mondo dell’edilizia, per dare la possibilità non soltanto al nostro piccolo studio, ma a chiunque volesse usare materiali naturali di poterli trovare sul mercato a livello industriale.
Come è organizzata oggi Ricehouse?
Contiamo su tre unità di business. La prima si occupa dei progetti di edifici costruiti con gli scarti di riso, a energia zero, che non hanno bisogno di impianti di riscaldamento o di condizionatori, e che soprattutto assorbono CO2 invece che emetterla.
La seconda unità è quella di prodotto: oggi a catalogo abbiamo più di 30 prodotti, suddivisi in sette categorie, e tutti hanno come elemento principale la lolla o la paglia di riso: i materiali vegetali per l’isolamento, i pannelli isolanti, gli intonaci di fondo, i massetti e sottofondi, le finiture, i sistemi di rivestimento e gli elementi di chiusura verticale opaca. Si tratta di materiali certificati, che quindi possono essere usati da professionisti o imprese interessate di avere una scelta in più, più sostenibile, rispetto ai materiali per l’edilizia di derivazione petrolchimica. Grazie a questi prodotti possiamo dire che oggi, a esclusione dei serramenti e degli impianti, è possibile costruire una casa di riso, utilizzando il legno o il cemento armato per le strutture.
E poi l’unità innovazione, che punta sulla valorizzazione di nuovi progetti, anche al di là dell’edilizia, come nel caso del design o di una serie di altri possibili impieghi industriali. Un esempio su tutti è la collaborazione con un gruppo industriale italiano al quale forniamo la materia prima che viene utilizzata per realizzare i manici delle pentole, in sostituzione di quella usata in precedenza, che era un derivato petrolchimico.
Perché tanta attenzione al riso?
La risposta viene dai numeri: soltanto in Italia si producono in un anno più di 2 milioni tonnellate di scarti di riso – che diventano 2mila milioni di tonnellate su scala globale – e noi con la nostra attività arriviamo a utilizzarne meno dell’1%. Eppure, il valore di questo materiale è altissimo, perché non soltanto è carbon neutral, in quanto scarto di un’altra produzione, ma se recuperato e riutilizzato arriva a essere negativo dal punto di vista dell’emissione di anidride carbonica, diventa un metodo di stoccaggio della CO2 catturata dalla pianta del riso nei sei mesi del suo processo di crescita. Dal momento che tutti abbiamo bisogno di una casa e di edifici in cui trascorriamo una parte importante delle nostre giornate, se venissero costruiti con materiali sostenibili sarebbe più semplice raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica nel 2050, e quelli delle tappe intermedie.
L’attenzione alla sostenibilità riguarda anche il processo di produzione dei vostri materiali per l’edilizia?
Sì, certo, abbiamo focalizzato l’attenzione alla riduzione del consumo energetico e di acqua. I nostri mattoni e le nostre piastrelle, ad esempio, non hanno bisogno di andare in altoforno: vengono realizzati con un legante geopolimerico che silicizza la lolla di riso: questo, tra l’altro, consente di abbattere i costi energetici della fase di produzione.
Su quali progetti state lavorando in termini di ricerca e sviluppo?
Uno dei più interessanti riguarda una nuova miscela dove la materia prima è lolla di riso e il legante è una gomma naturale, che potrebbe essere usato nel packaging o, ad esempio, per le suole delle scarpe. In generale stiamo parlando di bioplastiche, il cui effetto finale è come quello della plastica, ma la materia prima è la lolla, non un derivato del petrolio. Per i nostri prototipi e le nostre sperimentazioni utilizziamo la stampa 3D, in modo da riuscire a valutare le caratteristiche dei materiali prima di arrivare al livello industriale.
Riuscite a essere competitivi dal punto di vista dei prezzi?
Rispetto al mondo casa direi proprio di sì: il costo complessivo per la realizzazione di progetto basato sui nostri materiali è in media tra il 3 e il 5% più alto rispetto a quelli che prevedono tecniche e materiali tradizionali, e su un investimento di diverse centinaia di migliaia di euro lo scarto mi pare molto ridotto. Ovviamente, in questo quadro ci sono materiali che sono già oggi economicamente più vantaggiosi rispetto a quelli petrolchimici, e alcuni che costano di più. Ma l’aspetto interessante, dal mio punto di vista, è di essere arrivati a ottenere sostanzialmente la parità di costi se si parla dell’intero processo di realizzazione di una casa. E a questo va aggiunta la salubrità per gli operai in cantiere, per le persone che andranno ad abitare in quell’edificio e per il giovane che un giorno dovrà smaltire i materiali esausti.
Siete una società benefit. Cosa vuol dire?
Non soltanto siamo una società benefit dal 2020, ma siamo anche certificati B Corp, quindi come azienda impegnata nel conciliare la sostenibilità economica della propria attività con l’etica, realizzando un impatto positivo sull’organizzazione interna, la società e l’ambiente.
Questo nostro impegno si concretizza ad esempio nell’utilizzare materia prima tutta italiana: lavoriamo nell’arco di 300 km tra il luogo in cui raccogliamo gli scarti, pagando gli agricoltori che li producono, e dove realizziamo il prodotto finito. Contiamo su dieci trasformatori, aziende che già lavoravano nella produzione di materiali per l’edilizia, e che hanno accettato di dedicare una parte della loro attività a noi. In questo modo cerchiamo di valorizzare chi ha già una tradizione industriale, in un progetto di economia circolare che diventa anche un progetto di filiera, mettendo a sistema tante capacità differenti, come quelle degli agricoltori, degli industriali e dei costruttori.
Come sta rispondendo il mercato alla vostra proposta?
Siamo cresciuti costantemente, ma più rapidamente negli ultimi tre anni, in termini di fatturato, di personale e di produzione. Se prima il nostro cliente era soltanto nella nicchia degli investimenti privati dei bioclienti, il bonus 110% ha aperto anche il mercato delle grandi riqualificazioni. Nel primo anno del bonus abbiamo lavorato quasi esclusivamente su case singole, ma nel secondo e nel 2023 stanno entrando anche grandi progetti, ad esempio per i condomini, e anche una grande riqualificazione di case popolari a Milano. In più oggi molte aziende scelgono di utilizzare nelle ristrutturazioni materiali a impatto zero, e grazie a questo siamo contattati sempre più anche da grandi gruppi italiani e internazionali che hanno sede in Italia. Il passaggio più importante che è avvenuto nell’ultimo periodo è il passaggio dal biocliente privato al biocliente di grande scala.
Di pari passo sarà cresciuta anche la concorrenza…
Prima eravamo una mosca bianca con pochissimi clienti, e la sfida era quella di aprire il mercato. Oggi invece la sostenibilità è diventata un tema mainstream, tanto che è difficile orientarsi tra le offerte, per molte delle quali la sostenibilità è soltanto dichiarata, ma difficile da verificare soprattutto per utenti che non hanno conoscenze tecniche. In più tutte le grandi aziende hanno spostato l’attenzione sui materiali riciclati: dal nostro punto di vista è vero che si deve riciclare, ma questo non può e non deve diventare una scusa per continuare a produrre in maniera insensata, perché tanto poi si riciclerà. Il valore aggiunto principale è non consumare nuova materia prima, ridurre drasticamente l’uso di materie prime vergini e di origine petrolchimica. È importante sottolineare che i nostri materiali sono gli scarti del riso, che è il prodotto utilizzato per nutrire il 66% dell’umanità.
Quali obiettivi vi siete dati per il futuro?
Lavoriamo per riuscire a diventare leader nella bioarchitettura, che oggi rappresenta il 7% dell’edilizia italiana. Vorremmo arrivare a diventare produttori di riferimento per l’Italia e per l’Europa nella scelta alternativa di materiali per l’edilizia.