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L’insostenibilità del mercato dei fiori recisi

In Kenya l'esportazione di fiori è un business che porta un profitto annuale di più di 100 miliardi di dollari, ma per le condizioni di lavoro e i danni ambientali, non è più sostenbile

Vi siete mai chiesti da dove provengono quelle bellissime rose rosse che spesso trovate esposte nei più bei fiorai della vostra città o ai piccoli chioschetti agli angoli della strada?
Sono certa che in molti siano genuinamente convinti che provengano da coltivazioni italiane o forse europee, in ben pochi, invece, conoscono la loro vera origine. Circa il 95% di fiori coltivati in Kenya sono infatti destinati all’esportazione e più del 70% è destinato al mercato europeo e inglese.
Benché si tratti di un business che dà lavoro a più di 150.000 cittadini kenyani e rappresenti per il Kenya un profitto annuale di più di 100 miliardi di dollari, la realtà che si cela dietro i bellissimi e romanticissimi bouquet che così spesso ci ritroviamo a comprare e regalare è ben più amara.

Lo sfruttamento delle lavoratrici

Lo sfruttamento dei lavoratori, o meglio, delle lavoratrici dato che tra i 150.000 raccoglitori di fiori impiegati in questo mercato quasi tutti sono di sesso femminile (le aziende sono spesso convinte che le donne abbiamo un tocco più gentile e aggraziato e che così rovinino di meno i fiori quando li recidono) è un argomento che molte associazioni per i diritti umani e dei lavoratori hanno più volte sollevato.

Nelle coltivazioni (cui ho provato ad avere accesso senza successo) vengono posti dei target di lavoro altissimi e pressoché impossibili da raggiungere. Le lavoratrici si ritrovano a lavorare nei campi anche per 13-14 ore al giorno senza riuscire a raggiungere gli obiettivi imposti. Così vengono obbligate a recuperare il lavoro non svolto il giorno successivo ma senza essere pagate o addirittura, come scrive l’associazione Workers Rights Watch (WRW), obbligate a rendersi disponibili a prestazioni sessuali pur di non essere licenziate.

I danni ambientali

Questo business non è insostenibile solamente a livello umano e sociale ma è totalmente insostenibile anche per il nostro Pianeta. Le emissioni di anidride carbonica ormai totalmente fuori controllo per mantenere standard di produzione elevatissimi ed incontrare e rispettare la richiesta del mercato, i pesticidi chimici utilizzati che non solo vengono assorbiti dai terreni e dalle falde acquifere cui molti villaggi rurali fanno affidamento ma distruggono la biodiversità agricola del territorio ed infine, ma non meno importante, le mostruose quantità d’acqua necessarie per l’irrigazione delle coltivazioni. In un paese come il Kenya dove l’acqua è un bene per pochi. Il lago Naivasha, estremamente sfruttato dal business dei fiori recisi per l’altitudine a cui si trova, sta lentamente vedendo scomparire la sua biodiversità a causa dell’alterazione del pH naturale delle sue acque per la presenza di troppi pesticidi.

Alcuni consigli per dare il nostro contributo

Che cosa possiamo fare quindi noi per evitare quantomeno di alimentare un business che nulla sembra avere di sostenibile? I pochi consigli che vi do sono:

  • evitare di acquistare fiori come le rose che al 70% sappiamo provengono da coltivazioni kenyane che non seguono protocolli di protezione né verso i propri lavoratori né verso il Pianeta;
  • prediligere fiori di provenienza locale o di origine chiaramente tracciabile (considerate che quasi tutti i fiori provenienti dal Kenya in realtà in Italia vengono importati formalmente dall’Olanda);
  • optare per regali e pensieri differenti dai fiori.

Insomma, anche in questo caso miei affezionati lettori, anche noi come singoli cittadini e individui possiamo provare ad avere un impatto positivo come comunità e cambiare radicalmente le cose.

E allora, mi domando, perché non provare a farlo?
Un fiore alla volta, possiamo anche noi cambiare il mondo.

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