Nato a Milano nel 2015, il progetto di propone di portare le basi della programmazione nelle scuole e nelle famiglie. La founder Federica Gambel: “Non si tratta di apprendere i linguaggi, ma un nuovo mindset. E oltre che sugli studenti c’è molto lavoro da fare anche sugli insegnanti”
Avviare i bambini e i ragazzi al coding, accompagnando il mondo della scuola e le famiglie in un percorso verso un nuovo approccio all’apprendimento che ancora oggi incontra qualche resistenza, ma che potrebbe essere la chiave per recuperare quel divario digitale nelle competenze di cui l’Italia soffre. È questo l’obiettivo che ha portato Federica Gambel a fondare nel 2015 CoderKids, un’esperienza che è nata e si è sviluppata a Milano, ma che ora potrebbe trovare il modo di estendersi al resto d’Italia grazie alla didattica sincrona a distanza. In quest’intervista Federica spiega come è nato e come si è sviluppato nel tempo il progetto di CoderKids.
“Nella mia carriera mi sono sempre occupata di digitale, da consulente e da project manager, pur non essendo tecnicamente un’addetta ai lavori, una programmatrice. L’idea di dare vita a CoderKids è arrivata in un momento particolarmente importante della mia vita: ho avuto tre figli in quattro anni, e questo mi ha portato per un periodo di tempo a mettere in secondo piano il lavoro e la carriera, e a pensare più da vicino alle esigenze dei bambini. Nel 2013 ho visto il primo video di code.org, e a quel punto a iniziato ad accendersi una lampadina dentro di me. E con alcuni compagni di avventura abbiamo iniziato a prendere in considerazione la possibilità di specializzarci in questo campo. D’altra parte, da sempre ero abituata a lavorare con programmatori, e ho sempre considerato il loro lavoro estremamente creativo”.
Perché ritiene che la programmazione sia così importante per la formazione dei bambini e dei ragazzi?
Partirei dal principio che ai bambini è inutile insegnare un linguaggio specifico per la programmazione: bisogna piuttosto formarli a una mentalità, partendo dal principio che il 75% dei lavori del futuro avrà qualcosa a che fare con il coding. Chi inizia oggi il suo percorso scolastico avrà i primi approcci con il mondo del lavoro nel 2040, e probabilmente farà lavori che ancora non esistono. Quello che possiamo fare è aiutarli a essere pronti a questo appuntamento, spronandoli a ragionare in maniera critica, a lavorare in gruppo e a sviluppare competenze. Studiando come poter portare il coding nelle scuole abbiamo scoperto Scratch, un ambiente di programmazione gratuito, basato su un linguaggio di tipo grafico, e abbiamo iniziato. Il grosso dell’interesse lo registriamo per le scuole primarie e le secondarie di primo grado, quindi tra gli 8 e i 13 anni. Poi c’è un bivio, perché a quel punto inizia il percorso di formazione diverso, fino al design thinking, alla progettazione, che punta a sviluppare competenze più specifiche.
Qual è stata l’accoglienza iniziale?
Siamo partiti dalle famiglie, raccogliendo le adesioni di quelle che erano più consapevoli del valore della nostra proposta. Poi abbiamo iniziato a studiare come poter entrare nelle scuole, e non è stato semplice. Ci presentavamo agli istituti proponendo corsi di coding, e spesso ci trovavamo reazioni di stupore o di sorpresa. Ma con il passare del tempo anche queste barriere sono state superate. Il primo istituto a dare credito in maniera strutturata alla nostra idea è stato il Leone XIII di Milano, dove ogni anno la scuola propone alle classi della primaria corsi di coding in orario curriculare. E ovviamente c’è stato fin dall’inizio e continua a esserci un grande lavoro da fare con gli insegnanti, per fare in modo che quello che proponiamo non rimanga confinato in poche ore di lezione, ma possa contaminare in modo più ampio il resto delle attività che vengono svolte in classe.
Cosa è cambiato negli ultimi 10 anni?
L’idea si è sviluppata nel tempo, e sono molto felice di portare avanti il progetto con diverse partnership. È nata la collaborazione con il Corriere della Sera e nel 2020 sono stata tra le vincitrici del premio Mia-Miss in Action, il programma di accelerazione dedicato all’imprenditoria femminile di Bnp Paribas Italia e Digital Magics. Da lì le cose hanno iniziate a cambiare e a svilupparsi più velocemente, senza interrompersi completamente nemmeno durante il periodo più duro della pandemia.
Certo, è stato necessario ripensare una parte delle attività, ci siamo attrezzati per sbarcare online, e così abbiamo aperto nuove prospettive anche per il futuro. Oggi portiamo progetti di formazione nelle scuole prevalentemente in presenza, e nelle famiglie soprattutto con l’online. L’idea che sto seguendo con più attenzione oggi è quella di portare la nostra proposta anche fuori da Milano, perché soltanto se sapremo crescere anche “geograficamente” potremo contribuire a un vero e proprio cambiamento nel Paese.
Come è nata l’esigenza di puntare anche alla formazione dei docenti?
È una questione a cui mi sono molto appassionata, perché ho capito che il coinvolgimento attivo degli insegnanti è fondamentale per la progettazione di attività rivolte ai bambini. Dai 5 agli 8 anni si tratta soprattutto di attività unplugged per capire i principi del codice attraverso il proprio corpo, coinvolgendo anche psicomotricisti. L’idea di formare i docenti nasce dal fatto che in passato spesso mi capitava di aver portato a termine i corsi nelle classi e avere la sensazione che una volta finita l’attività questa sarebbe rimasta un’attività estemporanea, senza un seguito. Per evitare che questo succeda è fondamentale la partecipazione degli insegnanti, che lavorano ogni giorno e tutto l’anno con i ragazzi. E non parlo soltanto dei docenti di materie tecniche, ma anche di quelli che insegnano le materie umanistiche: l’importante è superare la paura e appassionarsi. E devo dire che ho la fortuna di incontrare continuamente un mondo di insegnanti appassionati di stem e di coding, disposti a provare e a sperimentare.
Al di là delle singole iniziative, a che punto è la scuola italiana nel campo del coding?
Di certo la sensibilità negli ultimi anni è aumentata, ma è anche vero che l’Italia è uno dei pochi Paesi in cui il coding a scuola non è ancora obbligatorio. Non si tratta, dal mio punto di vista, di un approccio che può essere lasciato alla sensibilità dei singoli docenti o all’attenzione dei singoli istituti.
A un’imprenditrice di successo che si occupa di formazione non si può fare a meno di chiedere un punto di vista sul gender gap. Quanto ci vorrà per chiuderlo?
I segnali sono incoraggianti, a partire dal fatto che oggi abbiamo un rettore donna al Politecnico di Milano. Anche se ancora oggi dobbiamo fare i conti con una serie di preconcetti, alcuni dei quali spesso vengono vissuti senza consapevolezza. Ad esempio, quando le famiglie ci chiamano per iscrivere i ragazzi o i bambini ai nostri corsi, a farlo sono nella quasi totalità dei casi i papà. E mi risulta strano, perché a gestire il tempo extrascolastico dei figli sono di solito le mamme. Altro tema che vorrei approfondire è il rapporto con i videogiochi, che mi risulta siano prevalentemente un territorio maschile, e non si capisce perché se non per un unconscious bias.
Parliamo per concludere dei progetti per il futuro…
Stiamo lavorando all’evoluzione della nostra proposta. Sta per partire una piattaforma per la formazione a distanza, che vuole mettere a frutto quello che di buono l’esperienza della pandemia ci ha lasciato. Abbiamo capito che l’insegnamento in modalità asincrona è fallimentare, mentre quello in modalità sincrona, con la partecipazione diretta dei ragazzi e il contatto per quanto a distanza con i docenti funziona molto meglio. Puntiamo a formare piccoli gruppi di apprendimento, dando vita a percorsi personalizzati. Stiamo lanciando Impariamolo.com, un progetto realizzato in collaborazione con il nostro system integrator di riferimento, MR Digital, che non prevede si distribuire soltanto i progetti di CoderKids, ma una serie di corsi anche al di fuori dell’offerta convenzionale. In più continueremo con la nostra attività nelle scuole, e ci metteremo anche a disposizione delle aziende con eventi singoli per i dipendenti indirizzati alla digitalizzazione.