Intervista a Giuseppe Di Rienzo, managing director di Fondazione Libellula
“Tutto comincia nel 2017 grazie all’idea di Debora Moretti, la nostra Presidente, in seguito a un progetto di responsabilità sociale che l’ha portata a incontrare in carcere un detenuto autore di femminicidio. Parlandoci, ciò che Moretti ha notato era la vittimizzazione secondaria e la minimizzazione della violenza con cui l’uomo raccontava ciò che aveva fatto. Usava le stesse parole che oggi ancora leggiamo sui giornali quando si parla di episodi simili: “Si è trattato di un raptus… Lei mi ha portata a quel punto… Io l’amavo troppo”. Uscendo da quell’incontro, Moretti si è chiesta se le persone che conoscevano quell’uomo e quella donna avrebbero potuto fare qualcosa a riguardo, per poi rivolgere quella domanda a sé stessa e chiedersi cosa potesse fare lei a riguardo”.
Così Giuseppe Di Rienzo, managing director di Fondazione Libellula, racconta la scintilla che ha consentito la creazione del network di aziende che promuove la cultura contro la violenza sulle donne e la discriminazione di genere.
Come si è sviluppata l’idea nel corso del tempo?
Quel momento è stato un passaggio cruciale, che rappresenta l’anima di Fondazione Libellula: responsabilizzarci collettivamente sulla violenza di genere, non pensare che sia una faccenda che riguarda solo chi la agisce e chi la subisce. Così la nostra Presidente ha iniziato a ragionare su quali strumenti avesse a disposizione per cambiare le cose, riconoscendo di fatto un privilegio che aveva: l’azienda per cui lavorava e di cui tutt’oggi è co-CEO, Zeta Service, occupandosi di HR poteva coinvolgere tante altre aziende nella prevenzione e nel contrasto della violenza di genere.
I posti di lavoro sono contenitori di umanità dove si diffonde cultura, attraverso valori e messaggi condivisi. Un’azienda attenta al tema della violenza sulle donne e alla creazione di una cultura inclusiva assume un impegno nei confronti della collettività, dando coraggio a chi vive situazioni di vulnerabilità anche fuori dalle sue mura.
È su questo principio che è nato il Progetto Libellula, che ha creato il primo network in Italia di aziende impegnate nella prevenzione e nel contrasto della violenza di genere.
Grazie a loro, nel 2020 il Progetto è diventato Fondazione e, oltre ai percorsi aziendali per promuovere una cultura equa e rispettosa, abbiamo avviato tanti progetti di cura per aiutare il personale socio-sanitario di ospedali e Pronto Soccorso a riconoscere i segnali, anche invisibili, della violenza di genere:
Abbiamo formato assistenti sociali e personale sportivo per evitare di cadere in stereotipi e pregiudizi, abbiamo garantito percorsi di empowerment e reinserimento lavorativo a donne a rischio o in uscita dal ciclo della violenza e abbiamo aperto a Milano lo Spazio Libellula, il nostro punto di riferimento sul territorio per famiglie, persone adulte, bambine e bambini che hanno voglia di partecipare ai nostri percorsi educativi, oltre che antenna per intercettare situazioni di vulnerabilità.
Come sta cambiando la sensibilità delle aziende? Quali sono i risultati raggiunti e da raggiungere?
Oggi non si ha più paura di parlare apertamente di molestie e violenza sul posto di lavoro e non perché, purtroppo, si tratta di un problema risolto, ma perché abbiamo capito che è nel silenzio, nell’omertà che fiorisce il fenomeno. Grazie al movimento MeToo, ai dati che emergono dalle ricerche dell’ISTAT o dalle nostre Survey, abbiamo capito che la violenza di genere è sistemica e che potremo contrastarla solo se abbassiamo le difese e ci mettiamo in discussione non per colpevolizzarci, ma per responsabilizzarci.
C’è una metafora che amiamo utilizzare: le policy anti-molestie sono come kit antincendio. La loro presenza non simboleggia che l’azienda è più soggetta a incidenti, ma che si è attrezzata per evitare che succeda il peggio, perché le persone saprebbero dove andare e cosa fare di fronte ad alcuni segnali d’allarme.
Per quanto riguarda il campo di miglioramento, stiamo notando sempre più partecipazione maschile ai percorsi facoltativi sulle questioni di genere, ma c’è ancora un certo gender gap che vede perlopiù presenti le donne. Dalla nostra Survey L.U.I. (Lavoro, Uomini, Inclusione) del 2023 era emerso che il 43% dei lavoratori pensa che siano questioni che non lo riguardano, perdendo di fatto l’opportunità di scoprire quanto un mondo più equo sia migliore per tutti e tutte.
Quali sono i dati principali emersi dalla Survey L.E.I. 2024?
Ciò che ci ha colpito in primis, delle 11.201 compilazioni, è che il 40% delle lavoratrici ha subito contatti fisici indesiderati sul posto di lavoro, motivo per cui abbiamo deciso di chiamare l’eBook della Survey 2024 “Ti tocca”, che non è solo un dato ma anche l’invito a ricordarci che ci tocca prendere una responsabilità di fronte a certi comportamenti.
Come chiamare le molestie col loro nome: circa 7 donne su 10 hanno dichiarato di aver ricevuto complimenti, allusioni e osservazioni sul proprio corpo che le hanno messe a disagio. Inoltre, sempre circa il 70% del campione ha ascoltato battute sessiste o volgari, rivolte a loro stesse o ad altre donne, sul posto di lavoro: quest’esperienza è stata sperimentata soprattutto dalle lavoratrici che non hanno un partner stabile o che lavorano in aziende con meno di 49 dipendenti. Il 43% ha ricevuto avance esplicite indesiderate e il 27% ha segnalato richieste e comportamenti di natura sessuale non graditi o non sollecitati.
Se poi prendiamo in considerazione dati analoghi riferiti alle donne che occupano posizioni manageriali, si riscontrano degli aumenti importanti rispetto alla media: ad esempio, il 77% delle manager e il 75% delle dirigenti ha sentito spesso o a volte commenti sul proprio corpo che le hanno messe a disagio. Ugualmente, il 79% delle dirigenti e il 76% delle manager è stata oggetto o ha ascoltato delle battute sessiste o volgari verso altre donne, rispetto alla media di circa il 70%.
E se parliamo poi dei contatti fisici indesiderati, la percentuale media del campione (40%) cresce fino al 47% per le dirigenti e al 54% per le imprenditrici. Ma forse l’aumento più significativo si riscontra sui dati riguardanti le avance esplicite indesiderate (43%), di cui sono state vittime il 64% delle imprenditrici e il 54% delle dirigenti, e le richieste di natura sessuale non gradite o non sollecitate (27%), che hanno riguardato il 45% delle imprenditrici e il 35% delle dirigenti.
Ci sono due ipotesi che potrebbero spiegare perché i dati riguardanti le donne con ruoli di potere sono peggiori della media: la prima ipotesi suggerisce che queste donne siano più consapevoli della situazione; l’alternativa ipotizza che, occupando posizioni storicamente riservate agli uomini, siano soggette a comportamenti che le depotenziano, le sminuiscono o le “oggettificano”, come se venissero “rimesse al loro posto di donna”. Quest’ultima troverebbe conferma in un altro dato significativo emerso dal report, secondo cui l’88% delle dirigenti e delle manager vede gli uomini crescere professionalmente più velocemente delle donne.
Tra pochi mesi ci sarà la presentazione della nuova survey...
Non voglio fare pronostici, perché temo che i miei bias possano poi influenzare la lettura dei risultati e quello che cerchiamo sempre di fare è sospendere il giudizio prima di metterci in una modalità di ascolto attivo.
Quello che posso dire è che stavolta includeremo nella Survey sia la percezione e l’esperienza delle donne che degli uomini che delle persone non binarie, per avere un quadro più completo e rappresentativo della società nel suo insieme. Pertanto, mi aspetto anche una maggior complessità nei risultati, non nel senso di difficoltà ma nel senso di pluralità di letture.
Un'ultima riflessione su come sta cambiando il mondo del lavoro e sulle nuove generazioni...
Ciò che frena maggiormente l’avanzamento di carriera di una donna è ancora la (possibile o presunta) maternità: 7 lavoratrici su 10 vedono rallentato il proprio percorso di crescita o quello di altre donne proprio per questo motivo e sempre 7 su 10 sentono allusioni o commenti negativi sulle conseguenze della maternità.
Ci sono poi altri stereotipi difficili da scardinare, come il fatto che la maggioranza senta ancora dire che se una donna fa carriera è perché ha usato la leva della seduzione, che le donne non hanno competenze da leader e che in generale sono meno competenti degli uomini.
Non voglio però che questi dati scoraggino troppo le donne, è importante quindi ricordare che oggi stiamo facendo molto più di una volta per denunciare le discriminazioni e per contrastarle. Quindi il loro cammino non è già segnato.