I nuovi dati presentati da ISPRA e SNPA restituiscono una fotografia articolata della transizione ambientale: risultati incoraggianti su energia, circolarità e riduzione delle emissioni convivono con criticità persistenti legate alla tutela di natura e territorio
L’Europa continua a distinguersi a livello globale per l’impegno sul fronte ambientale. Incrociando i dati più recenti pubblicati negli studi “Europe’s Environment 2025” dell’Agenzia europea per l’ambiente, nel Rapporto ISPRA “Stato dell’Ambiente in Italia 2025: Indicatori e Analisi” e nel Rapporto Ambiente SNPA edizione 2025, emerge un percorso di trasformazione che vede il continente ridurre le emissioni di gas serra e l’uso dei combustibili fossili, mentre cresce in modo significativo il contributo delle energie rinnovabili, la cui quota è raddoppiata dal 2005.
La transizione europea, secondo i dati dei tre srtudi, poggia anche su fattori strutturali come innovazione, lavoro verde e finanza sostenibile, che contribuiscono a rendere il cambiamento più solido e sistemico. È questo intreccio tra politiche climatiche e trasformazione economica a sostenere una visione di medio periodo improntata a un cauto ottimismo.
Non mancano, tuttavia, gli elementi di complessità o le criticità: la biodiversità europea è in sofferenza in tutti gli ecosistemi – terrestri, di acqua dolce e marini – a causa delle pressioni esercitate da modelli di produzione e consumo ancora poco sostenibili. Sullo sfondo, il cambiamento climatico agisce da moltiplicatore dei rischi: l’Europa è – emerge di report – il continente che si riscalda più rapidamente al mondo, una condizione che rende più urgenti le politiche di mitigazione e adattamento.
Il ruolo dell’Italia nella transizione ambientale
Sulla transizione ambientale l’Italia occupa una posizione caratterizzata da risultati di rilievo ma anche da fragilità strutturali. Il Paese si conferma leader nell’economia circolare, con un tasso di utilizzo circolare dei materiali che nel 2023 ha raggiunto il 20,8%, quasi il doppio della media dell’Unione europea. Un risultato che colloca l’Italia al secondo posto a livello UE e che riflette una capacità consolidata di valorizzare l’efficienza delle risorse all’interno del sistema produttivo.
Sul fronte climatico, le emissioni di gas serra risultano in calo del 26,4% tra il 1990 e il 2023, mentre cresce il peso dell’agricoltura biologica e aumenta il consumo di energia da fonti rinnovabili. Superato l’obiettivo fissato per il 2020, l’Italia guarda ora al 2030 con un target del 38,7%, segnale di una traiettoria coerente con gli impegni europei.
Questi progressi, tuttavia, non bastano a compensare le criticità che emergono in altri ambiti chiave, a partire dalla tutela del territorio e degli ecosistemi.
Biodiversità: un patrimonio sotto stress
La biodiversità rappresenta uno dei punti più delicati del quadro nazionale. L’Italia è tra i Paesi europei più ricchi di specie e habitat, ma solo l’8% degli habitat naturali risulta in uno stato di conservazione favorevole. A questo si aggiunge il dato secondo cui il 28% delle specie di vertebrati e il 24% delle piante vascolari valutate sono a rischio di estinzione.
Numeri che raccontano una fragilità crescente, legata alla frammentazione degli ecosistemi, alla pressione antropica e agli effetti del cambiamento climatico. La perdita di biodiversità incide direttamente sui servizi ecosistemici e sulla capacità dei territori di rispondere alle crisi future.
Consumo di suolo e trasformazioni del territorio
Un altro nodo critico è rappresentato dal consumo di suolo, che continua a procedere a ritmi elevati. Nel 2024 sono stati persi 7.850 ettari, pari a 21,5 ettari al giorno. Un dato che evidenzia come la pressione urbanistica e infrastrutturale resti forte, nonostante la crescente attenzione al tema e il riconoscimento del suolo come risorsa non rinnovabile.
Il consumo di suolo aggrava gli effetti degli eventi estremi, riduce la capacità di assorbimento naturale delle acque e compromette la resilienza dei territori, rendendo il tema centrale nel dibattito sulla sostenibilità e sulla pianificazione futura.
Clima ed eventi estremi: un costo crescente
Il cambiamento climatico emerge come uno dei fattori più impattanti e trasversali. Il 2024 è stato l’anno più caldo dell’intera serie storica dal 1961, un dato che trova conferma nella perdita di massa dei ghiacciai alpini e nell’innalzamento continuo del livello del mare, seppur di pochi millimetri l’anno.
Le conseguenze si riflettono anche sul piano economico. Le perdite pro capite dovute a eventi estremi sono quintuplicate in sette anni e, dal 2017, l’Italia si colloca stabilmente su livelli superiori alla media europea. Un segnale che rafforza la necessità di investire non solo nella riduzione delle emissioni, ma anche in strategie di adattamento e prevenzione.
Qualità ambientale: progressi e ritardi
Sul fronte della qualità ambientale, il quadro italiano mostra luci e ombre. Da un lato, cresce la quota di corpi idrici superficiali in stato chimico buono, che raggiunge il 78% dei fiumi. Dall’altro, nonostante un miglioramento generale dell’inquinamento atmosferico e un avvicinamento ai limiti di legge, restano necessari ulteriori interventi per raggiungere pienamente i valori di riferimento indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Questa doppia velocità evidenzia come i risultati ottenuti non siano ancora sufficienti a garantire una qualità ambientale omogenea e pienamente tutelata.
Regioni tra buone pratiche e divari territoriali
A livello regionale emerge l’immagine di un Paese in movimento, dove alcune politiche iniziano a produrre effetti tangibili. Per l’economia circolare, le performance di raccolta differenziata sono particolarmente positive in Veneto (77,7%), Emilia-Romagna (77,2%) e Sardegna (76,3%). Valle d’Aosta, Trentino e Basilicata si distinguono per l’elevato consumo di energia prodotta da fonti rinnovabili. Molto vicine al target UE per l’agricoltura biologica risultano le regioni del Centro e del Mezzogiorno, mentre il Nord è ancora più distante.
Resta aperto, infine, il tema dell’adattamento climatico: solo sette regioni hanno approvato formalmente una Strategia regionale dedicata, anche se tutte hanno inserito l’adattamento tra le priorità della propria programmazione ambientale.
