I “monti pallidi” rischiano di cambiare radicalmente per il riscaldamento globale. Il ghiaccio si ritira, e potrebbe essere spazzato via nell’arco di 20 anni
Il ghiacciaio della Marmolada, uno dei simboli della bellezza e della maestosità delle Dolomiti, rischia di sparire nell’arco di 20 anni, mentre la biodiversità nei fiumi è messa a rischio dall’abbandono dei pascoli ad alta quota. Questi sono solo alcuni dei principali cambiamenti che il gruppo montuoso delle Alpi orientali, patrimonio dell’umanità Unesco dal 2009, potrebbe essere destinato a subire a causa – diretta o indiretta – del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici causati dalle crescenti emissioni di gas serra.
Le Dolomiti
La catena montuosa prende il proprio nome dal geologo francese Déodat Gratet de Dolomieu, vissuto nella seconda metà del 1700, che per primo si impegnò a studiarne la composizione delle rocce; fu lui, infatti, che per primo scoprì la dolomia, un particolare tipo di roccia di cui è prevalentemente costituita la regione alpina, formata per sedimentazione dall’accumulo di conchiglie, alghe e calcaree che risalgono anche a 250 milioni di anni fa. Una composizione che è tra le cause principali dell’Enrosadira, il cambiamento di colore che al tramonto porta le vette delle Dolomiti a risplendere di rosa.
Situate a sud della catena principale – quella alpina – le Dolomiti si sviluppano tra Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, per arrivare fino in Austria. Si tratta del più ampio comprensorio sciistico d’Europa, che conta complessivamente 1.200 km di piste per 10,5 milioni di skipass ogni anno.
Marmolada, la regina delle Dolomiti
È il gruppo montuoso più alto delle Dolomiti, tra la provincia di Trento e quella di Belluno. La vetta principale, Punta Penia, raggiunge i 3.343 metri. Sull’origine del nome convivono due versioni: la prima ipotizza che derivi da marmor, termine latino per marmo, la seconda lo fa invece derivare dalla radice greca marmar, “splendere”, che potrebbe riferirsi alla luminosità del ghiacciaio che ora rischia di sparire.
Ghiacci in pericolo
Il ghiacciaio della Marmolada è uno dei simboli di questo sistema montuoso, e sta velocemente assottigliandosi. La leggenda narra che sia nato da una grande nevicata che si scatenò secoli addietro sul fienile di una anziana donna, “rea” di aver sfidato la tradizione raccogliendo il fieno in un giorno festivo, il 5 dicembre, giorno dedicato alla Madonna della neve, e che proprio per questo rimase intrappolata dal ghiaccio. Secondo un recentissimo studio dell’Istituto di Scienze marine del Cnr realizzato in collaborazione con l’Università di Genova e di Trieste, con l’ateneo di Aberystwyth in Galles e con l’Arpa Veneto, il volume dei ghiacci della Marmolada sarebbe diminuito del 30% nei dieci anni tra il 2004 e il 2015, perdendo il 22% della propria superficie. Se questo trend proseguisse a passo costante, la formazione di ghiaccio potrebbe così sparire completamente in poco più di 20 anni.
La ricostruzione in 3D
Per effettuare le rilevazioni, gli studiosi hanno utilizzato contemporaneamente un georadar che ha misurato lo spessore della superficie del ghiacciaio e un secondo georadar trasportato da un elicottero per monitorarne l’estensione. Combinando i dati è stato realizzato un modello tridimensionale che ha consentito di valutare nel dettaglio lo stato di salute della formazione di ghiaccio e i cambiamenti subìti con il passare del tempo. Dalla ricerca è emerso che il progressivo scioglimento dei ghiacci a causa delle temperature sempre più alte, ha portato all’emersione di alcuni rilievi carsici, con la conseguenza che quella che in precedenza era un’unica formazione di ghiaccio oggi appare frammentata in più porzioni. Proprio l’emersione della roccia, che assorbe calore, è destinata a velocizzare lo scioglimento dei ghiacci, che potrebbero presto lasciare il posto a chiazze di neve gelata molto più sporadiche, che resisteranno soltanto nelle aree più riparate dal sole.
L’aumento delle temperature
A dare un’idea indicativa di cosa stia succedendo, ci sono le misurazioni dell’Università di Padova che sottolineano come in poco meno di 30 anni la temperatura media in Veneto sia aumentata all’incirca di un grado centigrado. “Un effetto evidente del cambiamento climatico registrato nella regione – spiega Adriano Barbi, del Servizio meteorologico di Arpav – è lo scioglimento dei ghiacciai delle Dolomiti: il ghiacciaio della Marmolada ha manifestato un arretramento significativo a partire dalla fine del 1800 e complessivamente la superficie glacializzata delle Dolomiti si è quasi dimezzata nel corso dell’ultimo secolo, e il 30% di questa riduzione è avvenuto negli ultimi 30 anni. Quindi una riduzione significativa dovuta proprio all’aumento delle temperature. Il riscaldamento climatico che si è manifestato in Veneto, negli ultimi 50 anni in particolare, ha provocato anche effetti su alcuni cicli vegetativi: ad esempio, è stato analizzato il ciclo biologico della vite che si è ridotto in media di circa 15 giorni negli ultimi 50 anni, in alcune annate addirittura di 30 giorni e quindi un anticipo importante nella maturazione e nella raccolta delle uve”.
A rischio la biodiversità nei fiumi
Tra i danni che i cambiamenti climatici possono causare nelle aree di montagna c’è anche l’impoverimento della biodiversità nei corsi d’acqua, come rileva lo studio di Eurac Research pubblicato dalla rivista scientifica Freshwater biology. Lo studio è stato effettuato su 15 torrenti in Alto Adige, e ha evidenziato come l’abbandono dei pascoli ad alta quota, insieme all’innalzamento dei limiti dei boschi dovuto alle temperature crescenti, abbiano un impatto negativo sulla presenza – in numero e varietà – di invertebrati nei corsi d’acqua. Gli animali al pascolo, infatti, abbeverandosi nei corsi d’acqua, contribuiscono alla biodiversità alimentando i macroinvertebrati acquatici che si nutrono di vegetali sminuzzati, e che a loro volta contribuiscono a filtrare le particelle d’acqua.