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Boom delle specie esotiche invasive: quali i rischi per gli ecosistemi

Il granchio blu proveniente dagli Usa che sta colonizzando vaste aree del mediterraneo è soltanto il sintomo di un problema più ampio. I dati Ipbes: 3.500 specie aliene minacciano seriamente la natura, il suo contributo all'uomo e la qualità della vita

Il granchio blu che ha iniziato a colonizzare il Mediterraneo non è un’eccezione, ma soltanto un sintomo di un problema molto più grave innescato anche dai cambiamenti climatici: la crescente diffusione di specie esotiche invasive, spesso provenienti da altri emisferi o da paesi con caratteristiche climatiche originariamente diverse. Un fenomeno che sta interessando tutto il Pianeta e che potrebbe mettere a rischio gli ecosistemi. Parliamo di numeri che stanno acquisendo dimensioni importanti, come dimostrano i dati dell’ultimo rapporto Ipbes, la Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, pubblicato lo scorso 4 settembre.

Il caso del granchio Blu

Il nome per la scienza è Callinectes sapidus, ma questa estate è diventato famoso con il suo nome “volgare”, il granchio blu. Si tratta di un crostaceo a dieci zampe che ha il suo habitat naturale negli Stati Uniti, ma che è arrivato nel Mediterraneo trasportato nelle acque di zavorra delle grandi navi che fanno la spola da una parte all’altra dell’Oceano Atlantico.
Anche a causa dell’innalzamento delle temperature a cui abbiamo assistito negli ultimi anni il granchio blu – e il suo stretto parente originario del Mar Rosso, il “Portunus segnis” – hanno trovato nelle acque del Mediterraneo un habitat ideale, e vi dimorano stabilmente almeno dallo scorso anno.

I danni alla natura e all’economia

Le segnalazioni più importanti della presenza di queste specie riguardano finora il Veneto, il Lazio, l’Emilia-Romagna e la Toscana. A far accendere i riflettori su questa specie aliena è stato il fatto, nel corso dell’estate appena conclusa, che si sono iniziati a vedere i primi danni agli ecosistemi – e anche all’economia – che possono essere causati dal granchio blu. Si tratta infatti di una specie particolarmente vorace che provoca danni importanti – ad esempio –  agli allevamenti di vongole e molluschi: tanto che il governo, per correre ai ripari, ha già programmato un investimento vicino ai tre milioni di euro per contenere la proliferazione di questa specie.

Non soltanto climate change

La rapida diffusione del granchio blu nel Mediterraneo non è dovuta soltanto a un habitat favorevole dal punto di vista climatico, ma anche alla circostanza che le sue acque sono molto più sgombre dai predatori di questi crostacei: tartarughe, polpi e alcune specie di pesci e uccelli. La scarsità di queste specie è dovuta nella maggior parte dei casi alle attività dell’uomo, a partire da inquinamento e pesca intensiva, che hanno consentito al granchio blu di trasformarsi senza grossi ostacoli da preda, come era nelle coste statunitensi, a predatore.

L’allarme del rapporto Ipbes

Come dicevamo, però, il granchio blu è soltanto un piccolo sintomo che ha avuto il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica un problema ben più grande e complesso, quello della diffusione di specie aliene su tutto il Pianeta. Il quadro lo fornisce l’ultimo “Rapporto di valutazione sulle specie esotiche invasive e il loro controllo” realizzato da Ipbes, secondo cui “la grave minaccia globale rappresentata dalle specie esotiche invasive è sottovalutata, sottostimata e spesso misconosciuta”.

Sono infatti, secondo la fotografia scattata dalla Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, più di 37mila le specie esotiche introdotte dalle attività umane in regioni e biomi di tutto il mondo. “Più di 3.500 di queste sono specie aliene invasive dannose, che minacciano seriamente la natura, il suo contributo all’uomo e la qualità della vita – spiega Ipbes – Troppo spesso ignorate fino a quando non è troppo tardi, le specie esotiche invasive rappresentano una sfida significativa per le persone in tutte le regioni e in tutti i Paesi”.

I costi ambientali ed economici dell’invasione

Il prezzo da pagare per questa “invasione” non è soltanto legato ai cambiamenti potenziali della biodiversità e degli ecosistemi, ma può anche essere quantificato dal punto di vista economico: il costo globale delle specie esotiche invasive, infatti, ha superato secondo il report i 423 miliardi di dollari all’anno nel 2019, con numeri che sono almeno quadruplicati in ogni decennio a partire dal 1970.

I dati del nuovo report non fanno che confermare quelli pubblicati nel 2019, quando il Rapporto di valutazione globale dell’Ipbes aveva rilevato che le specie esotiche invasive sono uno dei cinque più importanti fattori diretti di perdita di biodiversità, insieme ai cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, allo sfruttamento diretto delle specie, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento.

Secondo Helen Roy, che ha condotto lo studio insieme ad Anibal Pauchard e Peter Stoett, “Le specie esotiche invasive rappresentano una grave minaccia per la biodiversità e possono causare danni irreversibili alla natura, tra cui estinzioni di specie a livello locale e globale, oltre a minacciare il benessere umano”.

Non tutte le specie esotiche diventano invasive

La ricerca sottolinea però che non tutte le specie esotiche diventano invasive: nello specifico circa il 6% delle piante esotiche, il 22% degli invertebrati esotici, il 14% dei vertebrati esotici e l’11% dei microbi esotici sono noti per essere invasivi e per costituire un grave rischio per la natura e per le persone, in particolare quelle che dipendono direttamente dalla natura, come le popolazioni indigene e le comunità locali.

 

– Anibal Pauchard

Il quadro internazionale

Allargando la visuale su scala globale, dal report Ipbes emerge che il 34% degli impatti delle “invasioni” sono stati segnalati nelle Americhe, il 31% in Europa e Asia centrale, il 25% nell’area Asia- Pacifico e circa il 7% in Africa. La maggior parte degli impatti negativi è stata segnalata sulla terraferma (circa il 75%) – in particolare nelle foreste, nei boschi e nelle aree coltivate – con un numero notevolmente inferiore di segnalazioni negli habitat d’acqua dolce (14%) e marini (10%). Le specie esotiche invasive sono più dannose nelle isole, spiega ancora il report – dove il numero di piante esotiche supera quello delle piante autoctone in oltre il 25% di tutte le isole.

“Uno dei messaggi più importanti del rapporto è che è possibile compiere progressi ambiziosi nell’affrontare le specie esotiche invasive – conclude Peter Stoett – Ciò che serve è un approccio integrato specifico per il contesto, tra i Paesi e all’interno dei vari settori coinvolti nella biosicurezza, tra cui il commercio e il trasporto, la salute umana e vegetale, lo sviluppo economico e altro ancora. Questo avrà benefici di vasta portata per la natura e per le persone”.

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