Made in carcere: borse e accessori per ridare dignità alle donne

Scritto da La Redazione di Sorgenia

I prodotti vengono realizzati con tessuti di scarto delle aziende. Una seconda opportunità come per le detenute che vi lavorano

Rieducare, verbo chiave quando si finisce in carcere. Scontare la pena ha poco valore se, durante la detenzione, chi è stato condannato non segue un percorso formativo e lavorativo che gli possa dare una seconda chance. Nasce da questo presupposto l’idea di Luciana Delle Donne, fondatrice di Officina creativa, che ha deciso di offrire una “doppia opportunità” a persone in stato di detenzione presso le carceri di Lecce, Trani, Bari, Matera e, a breve, Taranto. Come? Producendo, all’interno degli istituti penitenziari, borse, gadget personalizzati e accessori vari che abbiano come caratteristica l’originalità e la vivacità dei colori. Ma non solo: i manufatti realizzati, che vengono venduti online e in diversi store dislocati sul territorio nazionale, danno una “doppia opportunità” anche ai tessuti, rigorosamente avanzati, con cui vengono prodotti.

“Il progetto si chiama Made in Carcere e vuole essere un messaggio di speranza -spiega Luciana Delle Donne che ha inventato il marchio nel 2007-. Le donne che lavorano con noi, durante la detenzione, sono persone che, fino a quel momento, non avevano avuto nulla o quasi. Persone che, alla fine della loro attività e, quindi, del loro periodo dietro le sbarre, costruiscono consapevolezza e riacquistano finalmente la propria dignità. Il nostro è un lavoro sottotraccia: ufficialmente produciamo accessori, in realtà ricostruiamo vite. Hanno tutte un regolare contratto e, forse per la prima volta, vedono una busta paga, parlano di ferie, ruoli e responsabilità, discutono di futuro, diventano loro un sostentamento per la crescita dei loro figli. Lavoro gratis da oltre 15 anni, ma queste sono le ricompense più grandi, vedere i loro occhi che brillano di fiducia e speranza.

 

Di cosa parliamo?

Tante storie un solo obiettivo: ritrovare la dignità

Le storie delle donne che lavorano al progetto Made in Carcere sono le più disparate: “Ne potremmo raccontare centinaia -dice Delle Donne. Storie diverse, con diverse culture, estrazioni sociali ma accomunate da un unico certezza: invertire il proprio destino”.  Il risultato che ne esce è straordinario. A partire dai prodotti, fatti con tessuti di scarto, messi a disposizione da aziende del settore, che evitano di mandare nell’inceneritore e inquinare l’ambiente dando cosi, a loro volta, una seconda vita: “Questo – afferma Luciana Delle Donne- è il concetto che è alla base di tutto, far capire che non si è falliti o emarginati per sempre se si commette un errore, che ci si può rimettere in gioco e andare avanti più forti di prima”. Una seconda opportunità per i tessuti, dunque, e naturalmente per le donne che a quei tessuti lavorano: “Qui da noi -continua la fondatrice di Officina creativa- le nostre ‘dipendenti’ acquisiscono competenze professionali di alto livello, conoscono il senso dell’estetica, gli accostamenti cromatici, costruiscono bellezza in luoghi che belli non sono”.

Cosa accade una volta uscite dal carcere?

Una vera e propria palestra “culturale”, dove gli esercizi si svolgono all’insegna dell’estetica e dell’etica. “Se ci pensate bene – prosegue Luciana Delle Donne – il meccanismo funziona grazie a tanti ingranaggi: il sistema giustizia che ha creduto in noi, le aziende che ci offrono i tessuti, le donne che decidono di non mollare e di rimettersi in gioco. L’ideale sarebbe che, alla fine, tutto questo venisse davvero premiato”. Questo è infatti il punto: cosa accade una volta usciti dal carcere? Domanda legittima che però non ha una risposta sempre scontata: “Ovviamente il percorso che si fa all’interno del carcere non assicura un posto di lavoro -conclude Delle Donne. Ma dalla mia esperienza, ormai consolidata, una volta scontata la pena e una volta tornate alla vita di tutti i giorni, le nostre lavoratrici hanno tante chances in più di trovare lavoro. Hanno conquistato finalmente consapevolezza e questo spesso ha permesso, in diversi casi, che i loro sogni si trasformassero in realtà. Hanno trovato occupazione e futuro e il carcere, per fortuna, è diventato un ricordo ormai annebbiato. Dare e darsi è la nuova frontiera della ricchezza”.

Si lavora nonostante le difficoltà quotidiane

Non mancano ovviamente le difficoltà perché lavorare dentro un carcere ha i suoi problemi: “I linguaggi son diversi, noi proviamo a fare impresa loro invece giustamente parlano di sicurezza e controlli. Basta l’assenza di un agente per carenza di personale -dice ancora Delle Donne- e la catena produttiva inevitabilmente è costretta a fermarsi. Ma abbiamo imparato a dialogare e nulla ci impedirà di proseguire il progetto perché basta vedere i risultati del nostro lavoro e andiamo avanti. Abbiamo infatti avviato insieme a Fondazione con Il SUD un bellissimo progetto sul BIL (Benessere Interno Lordo) perché vogliamo costruire benessere e non parlare solo di profitto, Questa iniziativa, nonostante tutte le difficoltà causa Covid, l’inserimento lavorativo di 65 detenuti”. Fare impresa sociale e, per di più, farla all’interno di un istituto penitenziario presenta dunque degli ostacoli da superare ma, nello stesso tempo, arricchisce tutti: chi la propone e chi vi partecipa: “Svolgere questo tipo di attività -ammette la fondatrice di Officina creativa- necessita di una buona dose di coraggio e incoscienza, ma lo sapevo quando ho scelto di stare qui e lavorare in un contesto di semi povertà, e soprattutto luoghi scomodi che nessuno vorrebbe vedere. Non mi sono mai pentita, sono convinta che cambiare è possibile e si cambia dalle piccole cose, dai piccoli gesti che diventano poi abitudini e nuovi stili di vita, non solo per i detenuti ma anche per le altre persone che incontrano questi prodotti che poi son progetti, progetti di vita. Piccoli gesti che, alla fine, diventano giganteschi e possono cambiare il destino di tante persone e anche dell’ambiente”.