Saranno i deserti a salvare la Terra dal riscaldamento globale?

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Secondo l’opinion paper di un gruppo di scienziati della King Abdullah University di Thuwal, in Arabia Saudita, pubblicato dalla rivista scientifica “Trend in Plant sciences”, rendendo verdi le aree aride del Pianeta sarà possibile sequestrare grandi quantità di anidride carbonica su scala globale

Il punto di partenza della ricerca coordinata dal professor Heribert Hirt della King Abdullah University of Science and Technology di Thuwal, in Arabia Saudita, è che diminuire le emissioni di CO2 in atmosfera è una scelta dovuta, ma che da sola potrebbe non essere sufficiente a salvare il Pianeta dal riscaldamento globale.

Per essere più efficaci in questa battaglia, secondo il team di scienziati che ha recentemente pubblicato un opinion paper sulla rivista scientifica “Trend in Plant Sciences”, la carta vincente potrebbe essere indirizzare l’attenzione sulle terre aride, i deserti, che non vengono utilizzate per l’agricoltura e ricoprono circa un terzo della superficie della terra. Come? Rendendole verdi e utilizzandole per immagazzinare i volumi in eccesso di anidride carbonica che l’uomo continuerà a produrre, seppure in maniera decrescente, nei prossimi anni.

Infatti, questa la tesi dei ricercatori, anche se l’umanità riuscisse a ridurre drasticamente le proprie emissioni, “gli effetti climatici della CO2 elevata rimarranno irreversibili per almeno 1.000 anni, a meno che non si riesca a sequestrare la CO2 dall’atmosfera”.

Di cosa parliamo?

I dettagli del progetto

Secondo gli autori della ricerca una delle soluzioni che potrebbero contribuire a combattere il riscaldamento globale è la trasformazione degli ecosistemi aridi in sistemi di cattura del carbonio, ingegnerizzando le combinazioni ideali di piante, microbi del suolo e tipo di suolo per facilitare un processo biogeochimico naturale che consentirà la creazione di siti di stoccaggio di carbonio nel sottosuolo.

“Rinverdire i deserti ripristinando le funzioni dell’ecosistema, compreso il sequestro del carbonio, dovrebbe essere l’approccio preferenziale – spiegano i ricercatori – Il vantaggio di recuperare le regioni aride per rinverdire e sequestrare il carbonio è che non entrano in competizione con i terreni utilizzati per l’agricoltura e la produzione alimentare”.

Il metodo sfrutta le piante che possono adattarsi all’aridità e che producono ossalati, ioni contenenti carbonio e ossigeno: combinandoli con la presenza di alcuni microbi del suolo che utilizzano questi ioni come unica fonte di carbonio e che quindi espellono molecole di carbonato nel terreno. Il carbonato di solito si decompone rapidamente, spiegano gli autori della ricerca, ma se questi sistemi pianta-microbo sono coltivati in terreni alcalini e ricchi di calcio, il carbonato reagisce con il calcio formando depositi stabili di carbonato di calcio.

Il ruolo delle piante e degli alberi

La tesi da cui sono partiti gli autori della ricerca è che gli alberi sono comunemente considerati un sistema ideale per la cattura del carbonio: la riforestazione, però, è spesso in diretta competizione con l’agricoltura e rischierebbe di contendere a questo uso i terreni coltivabili. Circostanza che non vale invece per le terre aride, come i deserti, che però sono estremamente poveri di vita vegetale a causa della mancanza di acqua.
La soluzione a questa difficoltà sarebbe nell’utilizzo delle specie di piante che nel tempo hanno sviluppato la capacità di adattarsi alla sopravvivenza in luoghi aridi, quindi alla carenza di acqua e alle temperature elevate. Diversi tra questi organismi, inoltre, sono riusciti a sviluppare un apparato di radici unico, che si estende in profondità per poter attingere alle fonti di acqua più lontane dalla superficie terrestre.

Altri organismi hanno invece fatto leva su un particolare tipo di fotosintesi, che consente loro di “sprecare” meno acqua possibile, riducendo al minimo le perdite di liquidi durante le ore più calde del giorno. Infine ci sono le piante ossalogeniche, che si caratterizzano per produrre in abbondanza ossalati, che possono essere convertiti in acqua nei periodi di siccità. Una parte del carbonio prodotto da questi ossalati si deposita sottoterra sotto forma di depositi di carbonio quando le piante ossalogeniche sono coltivate in determinate condizioni, ed è questo meccanismo che gli autori vogliono sfruttare per il sequestro del carbonio: “Complessivamente – spiegano – un atomo di carbonio su sedici fissato per via fotosintetica potrebbe essere sequestrato nei carbonati”.

I primi tentativi

Se si riuscirà a semplificare il processo biogeochimico naturale nelle terre aride, questa la tesi, si potrebbero convertire ecosistemi attualmente improduttivi e degradati in pozzi di carbonio con terreni e piante più sani, magari iniziando dalle isole di fertilità, piccole aree di habitat rinverdito da cui le piante e i microbi possono diffondersi per formare un tappeto di vegetazione.

Secondo i ricercatori questo genere di pratica potrebbe riuscire a ottenere un aumento significativo del sequestro di carbonio da parte delle piante e del suolo in meno di dieci anni, nonostante la crescita sia particolarmente lenta nelle zone con scarsità di acqua. Ma oltre a questo, concludono, il successo del progetto dipenderà in modo decisivo anche dai mezzi finanziari e dalle scelte politiche.