Victor Anthony Lopez Carmen è uno studente di medicina di origine indigena che ha coordinato un team di traduttori medici per informare le comunità delle diverse tribù indigene sul Covid-19

Gli ultimi due anni sono stati segnati indelebilmente da una pandemia che ha paralizzato le società e le economie globali. Oggi, con cauto ottimismo, si può dire di vedere una luce in fondo a questo tunnel, ma al di fuori della galleria ci aspetta una sfida se possibile ancora più dura da affrontare: la lotta al cambiamento climatico. Le due crisi, quella sanitaria e quella climatica, si dipanano su tempistiche diverse: la prima ha avuto un’eruzione improvvisa, anche se non del tutto inaspettata, la seconda è invece frutto di un accumulo di fattori talmente lento e graduale che rischia di non venir nemmeno percepita e di venire invece accettata come nuova normalità. Appartenendo a due scale temporali così diverse tra loro, si potrebbe pensare che una crisi non abbia niente a che fare con l’altra. Invece, se ricercate con gli strumenti giusti, le connessioni esistono. Del resto, il clima è responsabile delle condizioni ambientali che permettono l’evoluzione nel tempo ma soprattutto nello spazio delle specie viventi, incluse quelle portatrici di agenti patogeni.
Tra le tante conseguenze, la pandemia ha mostrato e aggravato molte delle disuguaglianze esistenti che colpiscono in modo sproporzionato i popoli di tutto il mondo che già soffrivano di povertà, malattie, discriminazione, instabilità istituzionale o insicurezza finanziaria. Ha portato a galla tante vulnerabilità di popolazioni, come quelle indigene, il cui problema più grande è stato proprio la mancanza di informazioni sul virus a causa della difficoltà di trasmissione nelle varie lingue.

Di cosa parliamo?

Il progetto di Victor Anthony Lopez Carmen

All’Harvard Medical School, a Boston, Victor Anthony Lopez Carmen è stato il primo studente di medicina proveniente da una comunità indigena a entrare nella celebre medical school. Lì Lopez Carmen ha coordinato un team di traduttori medici ed esperti scientifici con lo scopo di informare le comunità delle diverse tribù indigene. Durante la pandemia, le popolazioni indigene sono state esposte fortemente al virus, con un tasso di contagio che è arrivato anche a essere da 3 a 5 volte più elevato rispetto a quello dei non indigeni. Questo perché le comunità indigene sono già di base più vulnerabili, avendo un reddito mediamente più basso e registrando tassi più elevati di fattori aggravanti, come ipertensione e diabete.
Con la collaborazione dell’Università di Harvard e delle Nazioni Unite, Lopez Carmen ha lanciato una call online a cui hanno risposto i rappresentanti di circa 130 comunità indigene e in poco tempo la squadra è riuscita a creare contenuti scientificamente corretti per comunità indigene africane, asiatiche, russe, sudamericane e statunitensi. Alcune delle lingue su cui il team stava lavorando non erano nemmeno disponibili in digitale; i traduttori hanno quindi deciso di creare dei podcast e trasmetterli nelle radio locali, perché i messaggi potessero arrivare a un pubblico più ampio e non solo a coloro che hanno accesso a internet.

Non solo un lavoro di traduzione

In molti casi, le informazioni non possono essere direttamente tradotte in quanto tali perché acquisirebbero poco senso in alcuni dei contesti indigeni: l’indicazione di lavarsi le mani e utilizzare disinfettante, ad esempio, presuppone un livello di infrastrutture e un accesso all’acqua potabile che molte comunità non hanno. I dati di alcune Ong chiariscono che il 30% delle famiglie Navajo non ha accesso all’acqua corrente e devono percorrere 40 chilometri per il pozzo più vicino. In questi casi, dunque, è stata aggiunta alla traduzione la dicitura “se questa risorsa è disponibile”. Per queste comunità può essere difficile anche rispettare la quarantena, perché le famiglie sono molto numerose e le case piccole.
“Attualmente la facoltà di medicina non ha più di 2 o 3 studenti nativi americani – spiega Lopez Carmen – Penso che più della metà non li abbia. Negli Stati Uniti i nativi americani rappresentano il 2% della popolazione e nella maggior parte delle facoltà di medicina siamo sottorappresentati, 20 volte meno che nel resto della popolazione. È davvero importante per i nativi americani diventare medici per tornare nella nostra comunità che ne è scarsamente servita”.

Il contributo delle popolazioni indigene alla politica climatica

Ci sono oltre 476 milioni di popolazioni indigene che vivono in 90 Paesi in tutto il mondo, pari al 6,2%  della popolazione mondiale. I popoli indigeni sono i detentori di una vasta diversità di culture, tradizioni, lingue e sistemi di conoscenza unici. Hanno un rapporto speciale con le loro terre e hanno diversi concetti di sviluppo basati sulle proprie visioni del mondo e priorità.
In occasione del World Indigenous Day, il 9 agosto 2021, la segretaria esecutiva dell’Unfccc, Patricia Espinosa, ha dichiarato che «I popoli indigeni devono essere parte della soluzione al cambiamento climatico. Questo perché hanno la conoscenza tradizionale dei loro antenati. Il valore importante di tale conoscenza semplicemente non può – e non deve – essere sottovalutato». Rispettare i diritti delle popolazioni indigene e rafforzare la loro partecipazione alla politica climatica è fondamentale per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali e promuovere la resilienza climatica. Questo è stato riconosciuto nel 2015 con l’istituzione della Local Communities and Indigenous Peoples Platform durante la Conferenza delle parti Unfccc di Parigi sui cambiamenti climatici , dando così voce alle popolazioni indigene a fianco dei governi e consentendo loro di partecipare in modo più efficace al processo climatico dell’Onu.
Per Hindou Oumarou Ibrahim, la copresidente del Facilitative Working Group del Local Communities and Indigenous Peoples Platform, «Un impegno significativo delle popolazioni indigene per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi significa prendere decisioni insieme: dobbiamo essere partner alla pari nello sviluppo della politica climatica nazionale e internazionale».

I pregiudizi nei confronti della conoscenza indigena

Sebbene numerosi popoli indigeni in tutto il mondo siano autonomi e alcuni siano riusciti a stabilire l’autonomia in varie forme, molti sono ancora sotto l’autorità ultima dei governi centrali che esercitano il controllo sulle loro terre, territori e risorse. Nonostante questa realtà, i popoli indigeni hanno dimostrato straordinari esempi di buon governo, che vanno dagli Haudenosaunee ai parlamenti Sámi esistenti in Finlandia, Svezia e Norvegia.
La pandemia non ha fatto altro che aggravare queste disuguaglianze e allargare il divario sociale già esistente. L’inclusione sociale delle popolazioni indigene, dunque, è importante sia per ciò che concerne l’azione climatica che la gestione della pandemia. Ancora oggi, però, conoscenza indigena e “western science” vengono spesso concepiti come sistemi di conoscenze che difficilmente possono comunicare, come spiega Lopez Carmen: “Penso che quando parliamo di scienza occidentale e conoscenza indigena, alcune persone credono che la scienza indigena non abbia la stessa validità di quella occidentale. La metà dei farmaci contro il cancro proviene da piante amazzoniche, che sono state raccolte inizialmente da popolazioni indigene. Quindi ci sono collegamenti tra indigeni e occidentali nella scienza. Se ci rendiamo conto che non siamo così diversi, possiamo collaborare insieme per trovare soluzioni a vantaggio di tutti”.

Un progetto più grande

Il progetto di Lopez Carmen è però più vasto, il giovane studente di medicina si augura infatti che possano esserci altri portali studiati e sviluppati come il suo, magari anche per quanto concerne il cambiamento climatico.
“Spero che un’iniziativa come questa possa essere formalizzata al di là del nostro progetto – si augura Lopez Carmen – nel governo, nella politica, anche con le Nazioni Unite perché lavorano molto con le popolazioni indigene”.

“Vite che cambiano col clima”, è un format che racconta il cambiamento climatico attraverso 10 storie straordinarie, ideato da Sara Moraca, giornalista scientifica e ricercatrice, e curato da Sorgenia, la prima greentech energy company italiana.