Transizione energetica, Luca Iacoboni: “Fondamentale l’impegno dei governi”

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

Il responsabile relazioni esterne e strategia per la decarbonizzazione di ECCO - The Italian Climate Change Think Tank: “Il contributo dei singoli è importante. Ma per spostare in modo decisivo gli equilibri servono scelte e norme che rendano il passaggio conveniente per famiglie e imprese”

“Il contributo dei singoli consumatori, che siano famiglie o imprenditori, è importante per la transizione energetica. Ma è fondamentale sottolineare che il cambiamento non avverrà grazie alle singole scelte volontarie. La scelta di un governo, che influisce sulle politiche industriali, può spostare gli equilibri e influire sull’abbattimento delle emissioni inquinanti in modo molto più decisivo. Chiarito questo aspetto, c’è da aggiungere che in realtà l’intelligenza collettiva dei consumatori può anch’essa avere un impatto. Lo abbiamo visto, ad esempio, con la crisi del gas: le famiglie, a causa dell’impennata dei prezzi, sono diventate più consapevoli dei propri comportamenti e hanno iniziato a consumare meno: se questa dinamica diventerà strutturale e arriverà a essere indipendente dall’andamento delle tariffe i consumi rimarranno più bassi e si otterrà un cambiamento positivo”.

A parlare è Luca Iacoboni, responsabile relazioni esterne e strategia per la decarbonizzazione di Ecco – The Italian Climate Think-Tank.

Luca, parliamo brevemente di Ecco: di cosa vi occupate?

Ecco è un think tank basato in Italia ma con un respiro europeo e internazionale, che si occupa di decarbonizzazione, e quindi di transizione energetica nei tanti aspetti che la caratterizzano. Parliamo, in sostanza, di una fondazione che realizza analisi e studi indipendenti, e che accoppia proposte di policy e attività mettendo attorno allo stesso tavolo i decisori politici, i portatori di interesse e i cittadini.

La transizione energetica è una priorità per l’Italia e più in generale su scala europea e globale. A che punto siamo nel nostro Paese?

Quando parliamo di transizione non parliamo soltanto di energia elettrica, ma di energia in senso assoluto, dalla produzione e consumo del sistema cibo all’assorbimento delle emissioni, soltanto per fare due altri esempi. In questo contesto l’Italia è ancora indietro, soprattutto se pensiamo agli indicatori legati agli obiettivi di emissione. Nel 2021, per dare una cifra indicativa, sono state emesse oltre 10 milioni di tonnellate di CO2 in più rispetto agli obiettivi che erano stati fissati. Un altro sintomo di arretratezza è il fatto che l’Italia è ancora molto legata al gas naturale non soltanto come combustibile di transizione, ma anche in prospettiva futura, dal momento che oggi si parla della realizzazione di nuove infrastrutture di gas che hanno tempi di ammortamento di 20-30 anni, incompatibili con gli impegni che il Paese ha preso per la transizione energetica.

Ci sono però indicatori rispetto ai quali si registrano progressi, come nel caso del disaccoppiamento tra la crescita del PIL, con un +2,6%, e l’aumento delle emissioni, a +0,9%. Tra i settori in cui c’è ancora molto da migliorare, in ogni caso, ci sono i trasporti e il residenziale.

Quali sono le sfide più importanti in questo momento?

La principale per l’anno in corso si chiama PNIEC, Piano Nazionale per l’Energia e il Clima.
L’Italia è chiamata infatti a revisionare il piano originale del 2019 entro giugno 2024 con un aggiornamento che indichi l’insieme delle politiche per la transizione energetica al 2030. Il PNIEC contiene tutte le politiche del decennio in corso, ma al piano manca un capitolo fondamentale, quello che riguarda l’industria. Si dovrebbe porre l’accento sul fatto che la maggior parte dei processi può essere elettrificata utilizzando le energie rinnovabili. Oggi è fondamentale che l’industria italiana acceleri in questa direzione ogni volta che sarà possibile, per acquisire un vantaggio competitivo nel prossimo futuro.

Ci sono altri “temi caldi” oltre al PNIEC?

L’altra grande sfida, dal nostro punto di vista, è la quesitone sociale. La transizione energetica, come qualsiasi momento di cambiamento, porta con sé grossi impatti, ed è da declinare in maniera positiva. Parliamo di gestire gli effetti sul mondo del lavoro, ma anche di accompagnare al cambiamento le fasce di popolazione con il reddito più basso. Il residenziale ha un peso molto importante, perché è un settore che ha un ampio margine di abbassamento delle emissioni. Sarà importante, nel breve e nel medio termine, individuare gli edifici con le prestazioni peggiori e accompagnare la transizione per le classi sociali più a rischio, riqualificando le case abitate da chi ha i redditi più bassi. Si tratterà, in sostanza, di far procedere di pari passo decarbonizzazione e welfare, per ottenere il risultato, tra l’altro, di abbassare in maniera strutturale le bollette per queste fasce sociali.

La direttiva “Case green” della Commissione Ue va in questa direzione?

Purtroppo, nel nostro Paese è diventata un tema politico, e non dovrebbe accadere. Di fatto, è un provvedimento che spinge nella direzione della riqualificazione, ma andrebbe accompagnato dal supporto di fondi pubblici europei e non solo. Questo consentirebbe di intervenire in favore delle classi più deboli e delle imprese. In generale, credo che si tratti di un passo positivo, che contiene una sfida: la parte di recepimento della direttiva, infatti, lascia spazio di autonomia ai singoli Paesi, e l’Italia dovrà declinare le indicazioni della Commissione al meglio per il proprio parco immobiliare.

Gli sforzi che si stanno facendo sul piano istituzionale per indirizzare la transizione energetica sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi?

Siamo penalizzati dal fatto che con il cambiare dei governi difficilmente si procede in continuità. Gli impatti dei cambiamenti climatici in diversi settori sono evidenti, parliamo ad esempio degli impatti sull’agricoltura, o sul turismo estivo e invernale, ma gli sforzi sono ancora insufficienti e a volte contraddittori: si stenta a prendere una direzione chiara. Si spinge sulle energie rinnovabili, ad esempio, ma contemporaneamente si continua a investire sul gas, mentre sarebbe necessaria una scelta chiara e definitiva. Questo, tra l’altro, farebbe bene anche alla parte eventualmente penalizzata, che potrebbe così pensare per tempo alla possibilità di riformare e ricollocare i lavoratori creando nuove competenze. In assenza di scelte chiare, invece, si tengono tanti settori in una sorta di limbo, rimandando una crisi occupazionale a quando non ci saranno più margini per agire, mentre si continuano a creare competenze, tra scuola e università, che a breve potrebbero non essere più richieste dal mercato.

Quanto sarà utile l’intervento del legislatore per la transizione energetica?

Un esempio può essere quello delle comunità energetiche: l’azione e la risposta dei singoli sindaci non possono essere sufficienti, servono norme favorevoli. La transizione, infatti, non accadrà se non sarà appetibile e conveniente per le imprese e le famiglie. L’Italia, tra l’altro, potrebbe trarre vantaggio come sistema produttivo dalla transizione energetica, perché potrebbe proporsi come fornitore per tutte le realtà e i mercati che non potranno rifornirsi da chi produce ad alto impatto sull’ambiente. Avremmo tanto da guadagnare andando a posizionarci su un mercato che va ad ampliarsi, e in cui chi produce a basso costo non può arrivare. Le grandi aziende, infatti, iniziano a creare intere filiere green, e su questo si può costruire un vantaggio che sarà molto importante per il futuro.