Agrivoltaico, uno degli ingredienti della transizione energetica dell’Italia

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

La coordinatrice della Task Force Agrivoltaico Sostenibile di Enea: “Il settore ha grandi potenzialità, e l’investimento di 1,1 miliardi di euro previsto dal Pnrr ha suscitato grande interesse. Ma per dare uno sviluppo duraturo al settore servono norme certe e indirizzi politici precisi"

Accompagnare lo sviluppo dell’agrivoltaico in Italia dalla fase iniziale, caratterizzata da incertezze di interpretazione e vuoti normativi, fino a farlo diventare uno degli ingredienti della transizione energetica dell’Italia: è nata con questo obiettivo la task force Agrivoltaico Sostenibile di Enea, istituita nel 2021, che oggi sta vivendo una fase di trasformazione per adattarsi al meglio al nuovo scenario normativo, caratterizzato da un appostamento di risorse pari a 1,1 miliardi di euro provenienti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e da un interesse crescente verso il settore che deriva dal mondo dell’impresa. A dare una fotografia dello stato dell’arte nel nostro Paese sull’agrivoltaico, vale a dire sulla combinazione fra agricoltura e la produzione di energia da fonte solare, è Alessandra Scognamiglio, ricercatrice presso il dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili di Enea, coordinatrice della task Force Agrivoltaico Sostenibile e presidente di Aias, Associazione Italiana Agrivoltaico Sostenibile.

Come è nata l’idea di dare vita a questa task force?

Era il 2021, l’agrivoltaico si stava affermando come un tema possibile di sviluppo delle rinnovabili in direzione della decarbonizzazione. L’approccio a questa opportunità, però, si presentava da subito come complesso, perché richiedeva l’integrazione di conoscenze diverse e la messa a punto di un nuovo modello. Non eravamo, in altre parole, di fronte a un “prodotto sullo scaffale”, pronto all’uso. Enea, che ha le potenzialità per coprire trasversalmente tutti gli ambiti necessari a soddisfare questa mission, ha deciso di accettare la sfida mettendo a disposizione le proprie competenze sia sulle tecnologie energetiche e le fonti rinnovabili, sia sulla sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali. Combinando eterogeneità interne, ha quindi voluto creare una “cassetta degli attrezzi”, producendo conoscenza e visione adeguate per consentire uno sviluppo armonico dell’agrivoltaico.

Qual è oggi lo stato dell’agrivoltaico in Italia?

Nelle more di una definizione normativa condivisa l’agrivoltaico è stato utilizzato nel nostro Paese in maniera ambigua: ci sono stati progetti che non avevano nulla di diverso dal fotovoltaico a terra, e questo ha creato confusione. Noi abbiamo optato per un approccio rigoroso, etico, che ha l’obiettivo di integrare per davvero agricoltura, energia, e paesaggio. Per questo parliamo di agrivoltaico sostenibile: un concetto che potrebbe sembrare scontato ma che non lo è e che ha l’ambizione di conciliare in termini di equilibrio queste componenti. È un fatto che nel corso del tempo le opposizioni più forti all’agrivoltaico sono state legate proprio ai timori per il paesaggio, che di sicuro è una dimensione estremamente importante. Il nostro obiettivo è di individuare e proporre soluzioni tailor made, che integrino al meglio questi tre aspetti, a prescindere dalla grandezza degli impianti e dalla loro potenza. Si tratta, in sostanza, di studiare il tipo di impianto così come le colture e i metodi di coltivazioni che possono essere adatti a un determinato contesto, l’economia del territorio, le esigenze delle comunità che lo abitano, e la natura del paesaggio, per capire che tipo di impianto può sopportare senza snaturare ma rappresentando un asset ulteriore .

Come sta cambiando la vostra task force in questo contesto?

L’agrivoltaico nasce con un grande obiettivo, quello di mettere insieme la produzione agricola quella di energia, due aspetti fondamentali per la sostenibilità su scala globale. Se nella prima fase le nostre indicazioni sono state principalmente generali, di orientamento, sviluppate in ambienti di ricerca, seppure contando sul confronto con situazioni non soltanto teoriche ma reali, grazie alla rete nazionale e all’associazione agrivoltaico sostenibile, oggi l’esigenza è più di natura implementativa. Si tratta cioè di fornire risposte a domande nuove che nascono da situazioni concrete, sul campo, e dopo due anni di sviluppo abbiamo tutti i mezzi per ampliare la cassetta degli attrezzi a disposizione degli stakeholder. L’obiettivo adesso è di integrare il nostro lavoro con competenze specifiche, che includano quelle degli agronomi, degli ingegneri e degli architetti, con altre figure, adatte a contesti di ricerca e sviluppo nuovi, e più avanzati rispetto ad una prima fase di messa a fuoco degli obiettivi.

Intanto sull’agrivoltaico il governo ha investito 1,1 miliardi del Pnrr…

Sì, e questo è al momento l’unico agrivoltaico che effettivamente conta su regole precise: parliamo di pannelli sollevati di almeno due metri e 10 da terra e sottoposti a un monitoraggio costante per non interferire con l’attività agricola. Ora siamo in attesa del decreto Aree Idonee e di norme tecniche che diano definitiva chiarezza a chi decide di investire: le uniche coordinate disponibili al momento, infatti, sono quelle contenute nelle linee guida del 2022, mentre effettivamente ancora non vi è certezza se all’agrivoltaico “non PNRR” verrà destinata una corsia preferenziale per le autorizzazioni e/o per gli incentivi del FER X. Intanto continuano ad accumularsi richieste di autorizzazione per progetti che non potranno essere “validati” definitivamente se non in presenza norme certe, a partire dalle regole operative del GSE, dei criteri di monitoraggio, del decreto aree idonee e delle che infine, a chiudere il quadro, imporranno le regioni. In assenza di tutto questo, il rischio è che l’agrivoltaico rimanga confinato al Pnrr e non trovi un respiro più ampio.

Cosa manca, in sostanza, per dare l’avvio ai progetti?

La prima cosa da fare è dare un indirizzo politico chiaro. Stando agli studi sul potenziale dell’agrivoltaico, a cui ha lavorato anche Enea, emerge con chiarezza il fatto che questa configurazione darebbe un contributo importante alla transizione energetica. Ma è necessario stabilire in via preliminare e senza ambiguità quanto spazio si vuole dare allo sviluppo di questa tecnologia, dove e come. Soltanto dopo questo passo ci saranno tutti gli strumenti per mettere a frutto le conoscenze e le competenze che abbiamo sviluppato. Dal mio punto di vista, però, non bisogna essere impazienti: siamo nel pieno di una fase di transizione, e ci sono da chiarire tanti aspetti, non soltanto tecnici, che riguardano ad esempio quali pratiche agricole siano compatibili con l’agrivoltaico, o quali contratti possano essere stipulati tra l’agricoltore e il produttore di elettricità. Ci sembra tutto estremamente urgente per via degli investimenti previsti dal Pnrr, annunciati prima che siano emersi modelli e roadmap concreti.

Come si posiziona l’Italia sull’agrivoltaico rispetto al resto d’Europa?

E riconosciuto che Germania, Francia ed Italia siano al momento i paesi più avanzati, ciascuno con sfaccettature diverse. Ad esempio, la Germania ha lavorato finora molto sulle norme tecniche, e la Francia ha varato un decreto fortemente attento alla resa agricola, che ha trovato già alcune critiche perché pone obiettivi forse troppo ambiziosi. L’Italia si caratterizza per il fatto che, anche grazie all’azione di Enea prima con la Rete Nazionale Agrivoltaico Sostenibile, e poi con AIAS, il panorama dei soggetti portatori di interesse è ben rappresentato. Inoltre, sembra emergere che gli impianti in fase di autorizzazione sono di taglia molto grande e fanno ricorso in genere a tecnologie avanzate, come quelle ad inseguimento, visto il grande potenziale solare disponibile che rende economicamente attuabili questi approcci. Ciò posto, siamo qui per fare meglio, per guardare oltre l’orizzonte e fornire giorno per giorno sia come Enea che come AIAS strumenti e pungoli per una dimensione in cui il settore agricolo e quello energetico possano trovare, tramite la sperimentazione, il dialogo, la condivisioni, sempre più elementi di contatto, senza confondersi ma mantenendo ciascuno la propria importante identità.