Gimmi Jeans, dalla canapa la ricetta per l’abbigliamento sostenibile

Scritto da Antonello Salerno
Giornalista

Francesco Vantin, cofounder dell’azienda insieme a Matteo Sandri: “Il rispetto per l’ambiente e per le persone è una scelta di vita, nel nostro quotidiano e verso i nostri clienti. Non vogliamo competere con le multinazionali sui prezzi, ma sulla qualità”

“Tutto è partito con la mia tesina a conclusione delle scuole superiori: avevo scelto di approfondire il tema della canapa. Un argomento legato al nostro territorio, nella provincia di Vicenza: anche i miei bisnonni erano coltivatori di canapa. Ho fatto una ricerca sulle tradizioni agricole, sulle proprietà organolettiche del tessuto e della fibra. Poi è successo che proseguendo il mio percorso di studi sono entrato nella moda e ho potuto toccare con mano l’impatto ambientale e sociale del mondo dell’abbigliamento: gli sprechi di materia prima, l’impatto sociale dei brand di fast fashion. L’idea di dare vita a Gimmi Jeans è nata dalla volontà di unire i racconti di mia nonna, quelli delle comunità che la lavoravano e la trasformavano in tessuti per lenzuola e per l’abbigliamento, e il mio percorso di studi e di lavoro. Con Matteo abbiamo deciso di concentrarci sui jeans perché sono l’indumento più impattante dal punto di vista ambientale: lui è appassionato di lavaggi e denim, io dei possibili utilizzi della canapa, e dalla nostra amicizia è nata la voglia di metterci alla prova nella produzione di capi sostenibili. Il primo paio di Jeans l’abbiamo realizzato con un tessuto che ho trovato nella soffitta di mia nonna, quello che chiamiamo “tessuto secolare”, che ha 120 anni di vita e che ancora oggi utilizziamo per confezionare alcuni capi”. A parlare è Francesco Vantin, cofounder insieme a Matteo Sandri di Gimmi Jeans, un brand che porta sul mercato capi sostenibili realizzati in canapa e con il massimo rispetto per l’ambiente. Francesco spiega in questa intervista cosa l’ha portato a decidere di tentare questa strada e quali sono i suoi progetti per il futuro.

Di cosa parliamo?

Francesco, qual è la vostra ricetta per tenere insieme il passato e il presente?

La componente che riguarda il passato sono le tecniche che venivano utilizzate per coltivare la canapa e per trasformarla in indumenti. È un esempio che ci può essere utile, dal mio punto di vista, per “rieducare il presente”: la canapa è stata completamente abbandonata dopo la seconda guerra mondiale e vantaggio delle fibre sintetiche, che sono più economiche e più utilizzate dalle multinazionali. In questo campo con il passare degli anni – anche a causa di vincoli commerciali – abbiamo perso un primato mondiale che apparteneva al nostro territorio, con i tessuti che da qui partivano per essere spediti in tutto il mondo.

Come nasce il nome Gimmi Jeans?

Gimmi era il nostro cane di famiglia, ed era conosciuto da tutti qui a Castelgomberto, un piccolo centro in provincia di Vicenza. I miei genitori hanno un negozio d’abbigliamento a pochi chilometri dalla nostra casa, e lui si muoveva liberamente facendo la spola tra questi due punti. Era diventato un simbolo di libertà, di simpatia e di spensieratezza, e noi abbiamo voluto trasmettere a un brand queste caratteristiche.

Quanto è importante il tema della sostenibilità nel vostro progetto?

Abbiamo iniziato a lavorare all’idea di Gimmi Jeans da due anni, puntando sulla sostenibilità soltanto pochi mesi prima che questo concetto vivesse un vero e proprio boom. In realtà questa cosa ancora un po’ mi stupisce: mi sembra strano che dobbiamo la nostra notorietà alla sostenibilità dei nostri prodotti, dal momento che la sostenibilità dovrebbe essere un prerequisito assolutamente scontato per qualunque cosa venga prodotta al giorno d’oggi. Vorremmo che i nostri jeans venissero apprezzati, oltre che per questo motivo, per la qualità del prodotto e per il design.

Come è partita la vostra attività?

Abbiamo iniziato il progetto Gimmi Jeans investendo i nostri soldi e lavorando a questo progetto dopo aver terminato le nostre giornate di lavoro da otto ore, sempre nel campo della moda e dell’abbigliamento. L’emergenza Covid è stata un’occasione per avere un po’ più di tempo a disposizione e per concentrarci sullo sviluppo dell’idea. Che ha suscitato curiosità e attirato l’attenzione di molti.

Torniamo alla sostenibilità dei vostri capi: che scelte avete fatto?

Oltre all’utilizzo della canapa, abbiamo sostituito con tessuti naturali tutte le parti in cui solitamente vengono utilizzare sostanze plastiche. Ad esempio nei nostri jeans non utilizziamo elastan, che rende i capi non smaltibili, abbiamo sostituito le etichette che di solito sono in poliuretano o poliestere con un tessuto in cotone organico stampato con colori ad acqua. Nei punti in cui – come nell’area della cintura – di solito vengono applicati tessuti adesivi in poliestere per aumentarne la resistenza, noi utilizziamo cotoni e dei particolari tipi di resina naturale. I ricami sono fatti con filati in cotone, anche se questo fa crescere i costi e rallentare il ritmo di produzione.  Le cuciture sono in cotone grezzo, senza tinture: finora abbiamo utilizzato un cotone tinto con tabacco, che però abbiamo intenzione di eliminare per utilizzare cuciture bianche. Invece che la pietra pomice, che è impattante per l’estrazione e per lo smaltimento, usiamo enzimi, sostanze organiche facilmente smaltibili. E infine il packaging: è un sacchetto in lino antibatterico, che può essere riutilizzato. Siamo attenti a non avere sovraproduzioni, e per questo realizziamo 50 capi alla volta per i jeans, oltre che grembiuli da lavoro su ordinazione.

Non abbiamo ancora parlato dell’aspetto della sostenibilità sociale…

La produzione dei nostri jeans avviene in un’area di 30 km nel distretto vicentino. La confezione è affidata a un’azienda familiare, che lavora con piccole quantità, mentre per il lavaggio utilizziamo una lavanderia che applica i lavaggi con depuratori certificati.

Come è possibile competere sul prezzo quando si fanno scelte come le vostre?

Competere sul prezzo è impossibile, se avessimo voluto concentrarci su questo aspetto non avremmo nemmeno cominciato. Non si può competere, d’altra parte, con chi fa lavorare le persone 20 ore al giorno. La nostra risposta deve essere prima di tutto culturale, sono la nostra storia e i nostri valori che appassionano chi viene a comprare i nostri prodotti. Che sono duraturi e sempre riparabili: si sa da chi andare nel caso di difetti o problemi, per questo offriamo anche un servizio di riparazione. Ci piace il fatto che si crei una sorta di empatia con i nostri clienti: non parliamo di rapporti con industrie gigantesche ma di relazioni tra persone. È una filosofia che fa parte del nostro stile di vita, che inizia da quando i nostri genitori ci hanno insegnato il valore dell’economia circolare e del riuso, insieme a quello del rispetto per l’ambiente e per la natura.

Quale sarà il prossimo step di Gimmi Jeans?

Da poco più di tre anni coltivo la canapa, con l’obiettivo di iniziare a produrre fibra in proprio. Ci piacerebbe utilizzarla e trasformarla per utilizzarla nella produzione dei nostri capi, e forse alla fine di quest’anno potremo iniziare a fare i primi test in questa direzione.