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Incendi Los Angeles, tutte le cause che hanno portato al disastro

Gli incendi in California hanno provocato la distruzione di 12mila edifici. Tutta colpa del “fire weather”: un mix di siccità, venti caldi e forti, aria secca causata dal riscaldamento degli oceani

Dopo una settimana tragica per la California meridionale, funestata da incendi violenti e a lungo indomabili, la prima domenica di tregua dal vento ha consentito alle autorità locali i primi risultati nel contenimento delle fiamme, e ha dato loro il tempo di fare una prima conta dei danni. I roghi che si sono sviluppati soprattutto tra la contea di Los Angeles e quella di Ventura, e che hanno portato la distruzione nelle aree di Pacific Palisades e Malibu, hanno finora causato 25 vittime e 26 dispersi, con danni che superano i 250 miliardi di dollari. Devastati dalle fiamme 162 kilometri quadrati di territorio e più di 12mila edifici. E le raffiche dei “venti di Santa Ana” potrebbero riprendere fino a toccare il 113 kilometri orari nelle prossime ore, almeno stando alle previsioni, riportando così l’allarme ai massimi livelli.

Le cause del disastro

Ma come è possibile che gli incendi, per di più in inverno, siano stati così devastanti e non sia stato possibile domarli? Non c’è una motivazione che da sola può spiegare quanto accaduto: le conseguenze dei roghi sono state così severe per la California a causa di un insieme di fattori che si sono “incastrati” nel modo peggiore. I fattori sono stati facilitati probabilmente anche dai cambiamenti climatici (con siccità, venti  secchi, forti e a raffiche) e dalla carenza di personale sul posto, che ha dato il tempo alle fiamme di propagarsi per l’impossibilità di dispiegare vigili del fuoco in tutte le zone in cui ce ne sarebbe stato bisogno.

La siccità 

Stando ai dati diffusi dalle autorità locali, nell’area colpita dagli incendi non si erano registrate precipitazioni degne di questo nome da nove mesi, con 2,5 millimetri di pioggia da maggio 2024, mentre l’umidità nell’aria è inferiore al 5%. Una condizione che consente agli incendi di propagarsi con più rapidità e senza ostacoli, travolgendo rapidamente tutto ciò che trovano sul loro cammino. Dal momento che i primi roghi si sono sviluppati in quattro diverse aree intorno a Los Angeles  Palisades, 30 km a Ovest dalla città, Pasadena, la valle di San Fernando e le Hollywood Hills – nelle prime ore è stato particolarmente difficile reperire tutta l’acqua necessaria alle autobotti.

La carenza di personale

Oltre alla difficoltà di contare su tutta l’acqua che sarebbe stata necessaria per domare le fiamme, un altro ostacolo insormontabile nelle prime ore degli incendi è stato la carenza di personale: le autorità locali, infatti, non erano in grado di dispiegare uomini e mezzi sufficienti per presidiare quattro roghi di vaste dimensioni in quattro luoghi diversi e relativamente distanti tra loro. Proprio per sopperire a questo problema, a disposizione dei vigili del fuoco della contea sono stati messi nuovi mezzi, a partire dalle autobotti, e rinforzi dai pompieri di altre contee e di altri Paesi, con volontari che si sono mobilitati anche dall’estero. A questi si vanno ad aggiungere 1.800 uomini della guardia nazionale mobilitati dal governo federale e altri aerei antincendio messi a disposizione dall’esercito.

I venti di Santa Ana

A consentire alle fiamme di propagarsi rapidamente sono stati i cosiddetti Venti di Santa Ana, o “Devil winds”. Si tratta di correnti d’aria secca e calda, che provengono dalle regioni desertiche dell’interno, che si incanalano verso l’Oceano Pacifico concentrandosi nell’area di Los Angeles. Si tratta di correnti che possono arrivare a toccare velocità particolarmente alte, fino a quasi 130 km orari.

La combinazione tra la siccità e i venti è stata una miscela esplosiva oltre che una condizione singolare, se si considera che di solito a mitigare l’effetto dei Devil winds c’è l’umidità dell’aria e le piogge caratteristiche della prima parte dell’inverno. La vegetazione resa secca dalla mancanza di precipitazioni, in sostanza, in combinazione con i venti caldi e secchi, ha facilitato il propagarsi dei roghi in diverse aree della regione.

I cambiamenti climatici

A ben vedere, quanto accaduto in California è stato aggravato anche dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Per spiegarlo si potrebbe partire dall’innalzamento delle temperature dei mari, da cui è investita anche la porzione di Oceano Pacifico che bagna le coste della California: l’acqua più calda, infatti, avrebbe contribuito a creare nelle zone in cui si sono sviluppati gli incendi un fronte di alta pressione a cui si può imputare il fatto che l’aria umida non sia riuscita a toccare la California.

Gli incendi in inverno potrebbero essere considerati, in sostanza, tra gli “eventi estremi” causati dal climate change e sempre più frequenti con il passare del tempo. Secondo Daniel Swain, scienziato climatico del California Institute for Water Resources, il mix che ha portato al disastro è stato il fatto che a due inverni piovosi, durante i quali la vegetazione era diventata rigogliosa, abbia fatto seguito un terzo inverno caratterizzato da un inizio all’insegna della siccità, che ha portato le piante a seccare e quindi a diventare il “combustibile ideale” per i roghi. Una combinazione meteorologica che, secondo l’esperto, negli ultimi anni si verifica con frequenza crescente.

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