L’attivista Simone Pantalei: “La comunicazione e il confronto con i cittadini sono fondamentali per ottenere dei cambiamenti virtuosi nelle nostre città. I primi ostacoli da superare sono sempre culturali: anche per questo facciamo educazione nelle scuole”
“Genitori antismog è un’associazione che nasce da una manifestazione spontanea, nel 2001, quando un gruppo di genitori si diede appuntamento davanti a Palazzo Marino, la sede del Comune di Milano, per protestare contro il consiglio alle famiglie di tenere i bambini a casa per via della cattiva qualità dell’aria. Quelle persone si sarebbero aspettate un’azione più incisiva, e per chiedere all’amministrazione interventi concreti diedero vita a un’associazione, che ora sta cercando di continuare nel proprio sviluppo. Io sono una dei nuovi ingressi, e sono padre di quattro bambini”. A parlare di Genitori Antismog è Simone Pantalei, una delle “nuove leve” tra gli attivisti dell’associazione, designato come rappresentante all’interno della neo costituita consulta comunale della Mobilità attiva e accessibilità, che a breve inizierà la sua attività. Simone è un vigile del fuoco, e con la moglie usa due cargo bike per gli spostamenti cittadini con i bambini e i tragitti casa scuola.
Quali sono le principali iniziative di Genitori antismog?
Quella a cui dobbiamo una parte importante della nostra notorietà è Siamo nati per camminare, progetto nato nel 2009 in collaborazione con il Centro Antartide di Bologna, destinato agli alunni delle scuole primarie e all’ultimo anno della scuola d’infanzia, per sensibilizzarli sul tema di rendere le città più vivibili e a misura di bambino. Grazie anche a questa iniziativa andiamo nelle scuole a fare comunicazione sulla qualità dell’aria e sui temi legati all’ecologia e al rispetto per l’ambiente. Inoltre siamo stati coinvolti nella sperimentazione di una zona 30, quella in cui le automobili e i mezzi a motore non possono superare i 30 km orari, che è andata a buon fine.
Quella delle cosiddette “zone 30” sta diventando un vostro cavallo di battaglia…
Noi come associazione insieme ad altre su tutto il territorio nazionale parliamo da tempo della zona 30. Bologna sta iniziando adesso, e ci sembrava giusto proporla anche nella città di Milano. Perché si tratta di una città presa ad esempio per molti motivi, considerata una delle capitali mondiali della moda e del design, e sarebbe bello che fosse all’avanguardia anche dal punto di vista ambientale e della qualità della vita dei suoi residenti. Se ne sta parlando molto in questo periodo, ma per ora è stato soltanto presentato un ordine del giorno in Consiglio comunale. Una semplice proposta, non c’è ancora nulla di deciso.
Perché è così difficile discutere di questo argomento?
Ho visto che tanti canali di comunicazione stanno proponendo il tema, ma nel dibattito c’è sempre molta confusione, molto rumore, come è già successo a Milano con l’area B, la zona a traffico limitato con divieto di accesso per i veicoli più inquinanti. Dal nostro punto di vista la zona 30 è un tema importante che porta sicurezza nelle città, ci sono dati e ricerche che possono dimostrarlo: diminuiscono gli incidenti e la loro gravità, senza che vengano allungati in modo esagerato i tempi di spostamento delle auto nelle ore di punta. Si tratta, secondo la nostra visione, di un tema di civiltà, che funziona, e che a differenza delle zone 30 che già esistono, per essere efficace avrebbe bisogno non soltanto di segnaletica, ma di interventi infrastrutturali.
Perché questa proposta sta registrando tante polemiche?
Credo che uno dei motivi principali sia il fatto che le istituzioni non facciano abbastanza comunicazione su questi argomenti, non sensibilizzino e non informino le persone nel modo giusto. Non vale soltanto per le zone 30, ma per tutti gli interventi in città, a partire ad esempio dalle piste ciclabili. È sempre molto importante coinvolgere e informare i cittadini del senso di alcune scelte, come dice anche il famoso urbanista Mattero Dondé: quando si vanno a stravolgere le abitudini dei cittadini, questi ultimi devono essere informati e coinvolti, perché gli ostacoli non sono pratici, ma quasi sempre culturali, di resistenza al cambiamento. La mancanza di informazione, inoltre, contribuisce a creare confusione, che a sua volta crea spazio per chi ha altri interessi. Basti guardare alle critiche che si levano quando si parla di pedonalizzazioni, dicendo che sfavorirebbero i commercianti, quando invece grazie alle pedonalizzazioni i negozianti hanno in generale un notevole aumento di introiti. Il primo ostacolo da superare, dal mio punto di vista, è la paura di ciò che non si conosce.
A quali progetti state lavorando in questo momento?
Siamo giunti alla undicesima edizione di Siamo nati per camminare, che viene riproposta ogni anno. Inoltre siamo impegnati all’interno della nuova Consulta della mobilità attiva e accessibilità. Ma quello che ci farebbe più piacere in questo momento, dopo i problemi che tutte le associazioni hanno vissuto durante la pandemia, è veder crescere la partecipazione con un aumento importante e progressivo degli iscritti. Il problema non riguarda soltanto noi, ma molte realtà sul territorio: essere in tanti vorrebbe dire avere la forza per promuovere nuove idee e nuove iniziative.