Ogni anno sono prodotti 359 milioni di tonnellate di plastica. Oggetti che, presto o tardi, si trasformeranno in rifiuti e finiranno negli oceani e nella catena alimentare

Il nostro è un mondo di plastica. Purtroppo, non è solo un modo di dire. Negli ultimi decenni è esploso il consumo e la produzione di oggetti in plastica. Se fino al 1950 era stato prodotto un milione e mezzo di tonnellate di plastica, in 70 anni le tonnellate sono diventate 359 milioni. Con l’incremento della produzione ha portato con sé l’aumento esponenziale dei rifiuti di plastica che, se non riciclati adeguatamente, degradano in microplastiche disperdendosi ovunque.

Di cosa parliamo?

COSA SONO LE MICROPLASTICHE

Con il termine “microplastiche” ci si riferisce, banalmente, a frammenti di plastica di dimensioni inferiori ai 5 mm di diametro. Tali particelle possono essere prodotte dalle fabbriche in quelle dimensioni oppure derivare dal deterioramento di oggetti in plastica. Le “sorelle minori” delle microplastiche sono le nanoplastiche, particelle con un diametro inferiore ai 100 nm, più piccole delle cellule che compongono il corpo umano. Una volta disperse nell’ambiente, le microplastiche non si biodegradano e tendono ad accumularsi.
Buona parte delle microplastiche deriva dall’erroneo smaltimento della plastica. Bisogna ricordare che la plastica, anche quella degli oggetti usa e getta, se non incanalata in un processo di riciclo o smaltimento, impiega moltissimo a degradare: si passa dai 20 anni dei sacchetti di plastica ai 600 dei fili da pesca.

LE MICROPLASTICHE PRIMARIE E SECONDARIE

Le microplastiche si dividono in due categorie: primarie e secondarie. Le prime sono rilasciate direttamente nell’ambiente in seguito a usura o durante il loro utilizzo, come le microparticelle rilasciate dai capi di abbigliamento durante i lavaggi, oppure quelle che derivano dall’usura degli pneumatici e quelle che si con l’uso di alcuni prodotti cosmetici. Queste rappresentano circa il 15-30% delle microplastiche presenti negli oceani. La percentuale restante è rappresentata dalle microparticelle secondarie, cioè quelle che derivano dalla degradazione degli oggetti di plastica abbandonati nell’ambiente e non affidati ai processi di riciclo o smaltimento.‍

DOVE VANNO A FINIRE LE MICROPLASTICHE?

La risposta alla nostra domanda è: ovunque. Secondo stime riportate dal WWF ogni anno otto milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono negli oceani e da lì raggiungono letteralmente ogni angolo della terra. Addirittura, la Commissione europea stima che la plastica riversata negli oceani ogni anno ammonti a 12,7 milioni di tonnellate.

Nel 1970 l’esploratore norvegese Thor Heyerdahl, durante una spedizione nell’Oceano Atlantico, incontrò quella che descrisse come una vera e propria “isola” di rifiuti di plastica che galleggiava sulla superficie dell’oceano. Correnti marine avevano creato un ammasso di rifiuti in plastica nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico a km di distanza dalla terra ferma. Ma non è l’unica isola di plastica. La più grande è la Great Pacific Garbage Patch, al largo della costa occidentale degli USA, nell’Oceano Pacifico: un’area grande circa tre volte la Francia e originatasi a causa delle correnti superficiali del Pacifico che, muovendosi circolarmente in senso orario, creano una spirale con al centro una zona di “acque ferme”.

Ma non è solo l’oceano a essere interessato dal fenomeno. Considerevoli quantità di microplastiche sono state ritrovate anche in un campione di neve prelevato in un punto non frequentato dell’Everest, la montagna più alta del mondo. “Le concentrazioni rilevate sulla montagna sono sorprendenti – ha commentato il risultato l’oceanografa Imogen Napper, che ha analizzato i campioni di neve nel suo laboratorio presso l’Università di Plymouth, nel Regno Unito -. È un luogo che considero tra le aree più remote e incontaminate della terra”. La presenza delle microplastiche è stata rintracciata nei luoghi più isolati esaminati dai ricercatori: dalle cavità più profonde dell’oceano ai più vasti paesaggi aperti.

DALL'ACQUA ALL’UOMO: IL PERCOSO DELLE MICROPLASTICHE

Le microplastiche attraversano grandi distanze insieme alla polvere trasportate dal vento o dalle correnti oceaniche. Come riporta l’Istituto Mario Negri la loro presenza è stata rilevata in 201 specie di animali commestibili, nell’acqua potabile e in diversi alimenti destinati al consumo umano, in particolare nei pesci, nei molluschi, nel pollame e nel sale. Tutti gli animali marini e terrestri, uomo compreso, consumano inconsapevolmente micro e nanoplastiche. “Questi dati, già di per sé inquietanti, sono ulteriormente aggravati da osservazioni recenti effettuate su organismi acquatici e roditori – si legge sul sito dell’Istituto Mario Negri -, che dimostrano la capacità di queste nanostrutture di attraversare le barriere biologiche, quali la placenta e la barriera intestinale, e di accumularsi nell’intestino modificando la composizione del microbiota”.

E attraverso il cibo le microplastiche passano all’uomo. La presenza di questi “oggetti indesiderati” all’interno del nostro corpo potrebbe favorire l’insorgenza di alcune patologie come l’Alzheimer, il Parkinson, l’Huntington, la Sclerosi Laterale Amiotrofica familiare e, anche se più rare, le amiloidosi sistemiche. Le micro e nanoplastiche, accumulandosi nei vari organi anche a livello del sistema nervoso centrale, possono innescare il cambio conformazionale di alcune proteine favorendo così l’insorgenza di amiloidosi.

Ma l’inquinamento da plastica inizia anche prima della nascita. Uno studio condotto dall’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche ha analizzato le placente di sei donne, di età comprese tra i 18 e i 40 anni, con gravidanze fisiologiche (quindi donne che non si sono sottoposte a processi di fecondazione assistita). I ricercatori hanno identificato mediante microspettroscopia Raman la presenza di 12 frammenti microplastici (di dimensioni comprese tra 5 e 10 μm): 5 nei feti, 4 nei tessuti materni e 3 nelle membrane corioamniotiche. Tre dei dodici frammenti sono stati identificati come polipropilene, quindi il materiale con cui vengono realizzati le bottiglie di plastica e i tappi, mentre gli altri sono stati identificati come materiale sintetico verniciato.

COME RISOLVERE IL PROBLEMA DELLE MICROPLASTICHE?

La diffusione delle microplastiche è un grave problema ambientale ma anche un’emergenza per la salute dell’uomo e delle altre specie animali. La soluzione, chiaramente, non è semplice e sono necessari sforzi, prima di tutto di tipo culturale, da parte dei consumatori, delle autorità politiche-regolatorie e del mondo produttivo. Prima di tutto occorre limitare la produzione e il consumo di plastica, soprattutto quella usa e getta, al fine di prevenire il rilascio di nuove micro e nanoparticelle nell’ambiente.

L’Unione Europea è impegnata a ridurre i rifiuti di plastica nell’ambiente e sta introducendo una serie di strategie normative. Nel settembre 2018 gli eurodeputati hanno approvato una serie di misure per aumentare i tassi di riciclaggio dei rifiuti di plastica nell’UE, mentre nel 2020 è stato imposto il divieto di aggiungere microplastiche primarie (cioè quelle prodotte intenzionalmente di piccola dimensione) all’interno dei prodotti cosmetici e detergenti. Nel giugno 2019, l’UE ha approvato l’obiettivo di utilizzare il 25% di plastica riciclata per la produzione di bottiglie di plastica entro il 2025 e il 30% entro il 2030. Nel 2022 l’UE ha pubblicato la strategia per i tessuti sostenibili e circolari, incentrata sul rilascio di fibre di microplastica dai tessuti e sempre nel 2022 i prodotti usa-e-getta in plastica sono finiti nel mirino dell’Unione che, dal 14 gennaio 2022, ne ha vietato sia la produzione che la vendita. Infine, la Commissione ha proposto nuove regole sugli imballaggi: il Green Deal prevede che entro il 2030 il 55% dei rifiuti da imballaggi in plastica debba essere riciclabile.