Energia dai rifiuti ed economia circolare, Laporta: “Serve un cambio di passo”

Scritto da Antonello Salerno
Giornalista

Il presidente di Ispra: “La pubblica amministrazione deve recuperare il rapporto con il territorio e la fiducia dei cittadini se vogliamo rispondere correttamente alla crisi internazionale e all’emergenza energetica. E non dobbiamo e non possiamo perdere occasioni per incapacità di innovazione tecnologica o carenza di investimenti in ricerca”

“Il cambio di passo nell’economia circolare implica un deciso cambio di mentalità, di abitudini e di stili di vita, una trasformazione del processo economico, giuridico, sociale e culturale che deve riguardare tutti, se vogliamo rispondere correttamente alla crisi internazionale e all’attuale emergenza energetica”.

A parlare è Stefano Laporta, presidente di ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che in questa intervista spiega a che punto è oggi l’Italia nel recupero di energia dai rifiuti, e quali possono essere i passi da compiere per centrare gli obiettivi internazionali e modernizzare il Paese all’insegna della sostenibilità e in direzione della transizione energetica.

I trattamenti tipicamente utilizzati nel settore dei rifiuti per produrre energia o generare fonti energetiche sono i processi biologici di tipo anaerobico, che consentono di convertire la biomassa in biogas e digestato e i processi di combustione in impianti di incenerimento. Va ricordato che gli impianti di trattamento anaerobico della frazione organica dei rifiuti sono ricompresi tra gli impianti oggetto di possibile finanziamento nell’ambito delle misure del PNRR.
Per quanto riguarda il flusso dei rifiuti urbani, per i trattamenti biologici c’è stata una crescita significativa negli ultimi anni, con un numero complessivo di impianti combinati di trattamento anaerobico/aerobico che è passato dai 26 del 2015 ai 51 del 2022. A questi vanno aggiunti 22 impianti di sola digestione anaerobica, con un numero complessivo di 73 installazioni in grado di produrre biogas a partire da rifiuti. L’insieme di questi impianti ha prodotto, nel 2022, circa 402,5 milioni di metri cubi di biogas (metano + anidride carbonica) prevalentemente impiegato ai fini energetici per la produzione di energia elettrica, termica o cogenerativa, sia per i fabbisogni interni degli impianti, che per l’immissione in rete.
In merito ai trattamenti di incenerimento, gli impianti che hanno gestito prevalentemente rifiuti urbani operativi nel 2022, in grado di garantire il recupero energetico, sono stati 36, con un recupero di energia elettrica di oltre 4,5 milioni di MWh e di energia termica di circa 2,3 milioni di MWh nel 2022.

Che contributo può dare il recupero energetico da rifiuti alla “twin transition” in Italia, quindi dal punto di vista ambientale ed energetico?

Dobbiamo lavorare sulle cosiddette B.A.T., (best available techniques, n.d.r.) per sviluppare nuove tecnologie sempre più avanzate, in grado di contenere al massimo l’impatto ambientale; questo può sicuramente contribuire a un aumento della loro sostenibilità e in questo contesto le tecnologie di trattamento dei rifiuti possono dare il loro contributo, incluse quelle finalizzate al recupero energetico. La corretta gestione dei rifiuti, attuata secondo i principi dell’economia circolare, ha il ruolo fondamentale di reimmettere flussi di materiali nei cicli produttivi, limitando l’uso di materie prime vergini e, conseguentemente, lo spreco di risorse e consente allo stesso tempo di limitare lo smaltimento e quindi la perdita di materie prime seconde. In alcuni casi – ad esempio la gestione dei rifiuti biodegradabili – il recupero di materia può essere abbinato alla produzione di fonti di energia.
L’obiettivo principale è di ridurre ulteriormente il conferimento in discarica, evitando che alcuni flussi, attualmente non recuperabili come materie prime, vi finiscano dentro.

Quali sono le principali criticità, al momento, per centrare gli obiettivi fissati dall’Europa, ad esempio in tema di economia circolare?

La normativa dell’Unione fissa importanti obiettivi in materia di riciclaggio dei rifiuti che rappresenta un passaggio chiave in un’ottica di economia circolare: un alto tasso di riciclaggio vuol dire infatti un’elevata percentuale di rifiuti reimmessa nei cicli produttivi come materia prima seconda in sostituzione delle materie vergini. Sui rifiuti urbani, ad esempio, è fissato un obiettivo di riciclaggio del 50% al 2020, misurato rispetto al quantitativo di rifiuti prodotto nello stesso anno, con target progressivamente crescenti negli anni successivi (55% al 2025, 60% al 2030 e 65% al 2035).
Obiettivi di riciclaggio sono fissati anche per altri flussi, quali ad esempio i rifiuti di imballaggio. Nel caso degli urbani la percentuale di riciclaggio raggiunta su scala nazionale nel 2022 è del 49,2%.
L’obiettivo del 2020 è quindi vicino ma non è stato ancora conseguito. A fronte della percentuale di riciclaggio rilevata, si osserva una percentuale di raccolta differenziata superiore al 65% a livello nazionale. Vi è quindi una forbice tra quantitativi raccolti in maniera separata, passaggio essenziale per consentire il riciclaggio delle varie tipologie di materiali e quantitativi effettivamente riciclati.
Ciò è dovuto in parte alla presenza di materiali per i quali attualmente non sono ancora disponibili idonee tecnologie e in parte alla presenza di scarti nelle frazioni raccolte che riducono le quote effettivamente recuperabili. In quest’ultimo caso il ruolo del cittadino è prioritario per rendere la raccolta efficiente ed efficace.

C’è ancora una “questione culturale” da superare, nel nostro Paese, rispetto al recupero di energia da rifiuti?

Oggi è diventato molto complicato localizzare nuovi impianti sul territorio, anche di recupero o di compostaggio. È complicato persino fare accettare la presenza dei centri comunali di raccolta nelle città più evolute. A questo punto la pubblica amministrazione non può non agire, occorre cercare una strada: il rapporto con il territorio va recuperato, insieme alla fiducia dei cittadini. La sindrome nimby non può impedire di rinnovare gli impianti che abbiamo inaugurato un quarto di secolo fa e di ammodernare l’intero sistema.
Bisogna partire dalla gerarchia dei rifiuti che richiede, per prima cosa, di attuare le necessarie misure volte alla prevenzione della produzione, seguite da quelle finalizzate al recupero di materia. In questo secondo caso è necessario riciclare il massimo quantitativo possibile di rifiuti producendo materia prima seconda. Per quei flussi non recuperabili sotto forma di nuova materia, il recupero di energia è chiaramente da preferirsi rispetto allo smaltimento che, come detto, deve costituire la forma residuale di gestione dei rifiuti. Questi sono i principi della normativa europea. Una corretta gestione dei rifiuti, trasparente, accuratamente monitorata e controllata, può contribuire a superare criticità legate ad una limitata conoscenza del sistema e può limitare le problematiche dovute ad errate procedure gestionali.

Cosa si può fare, su scala nazionale e su scala locale, per rendere chiare le opportunità legate a questa filiera, e magari per sfatare i “falsi miti”, spesso molto radicati territorialmente, che legano il trattamento dei rifiuti alle emissioni inquinanti o nocive per la salute?

L’Italia, da sempre povera di materie prime, tende naturalmente all’economia circolare fin da quando questo termine ancora non esisteva. Abbiamo tratto molte delle nostre risorse da quel che già avevamo. Questo ci ha avvantaggiato in tanti settori: prendiamo per esempio le nostre cartiere, che da sempre hanno utilizzato il macero, o pensiamo ai rottami di metallo, che addirittura continuiamo a importare.
Oggi non dobbiamo e non possiamo perdere occasioni a causa di un’incapacità di innovazione tecnologica o di un’insufficienza di investimenti nella ricerca. Potrebbe nascerne uno svantaggio competitivo che si farà sempre più pesante.
Sul trattamento dei rifiuti, le disposizioni regolamentari si sono sempre più concentrate sullo sviluppo di procedure e sistemi finalizzati a garantire una gestione adeguata e volta al massimo contenimento dell’impatto sulla salute e sull’ambiente. Si tratta in ogni caso di un settore che risente di diverse criticità, anche dovute ad eventi poco edificanti, che hanno inevitabilmente influito sulla fiducia dei cittadini.
Lo sviluppo di sistemi in grado di aumentare l’accuratezza e la rapidità di elaborazione delle informazioni e di diffusione delle stesse, può contribuire a superare alcuni elementi critici, fornendo dati certi e immediati che possono consentire di rimuovere incertezze e dubbi sulle tecnologie adottate. Uno strumento utile per superare sfiducia e diffidenza potrebbe quindi essere un ulteriore sviluppo e diffusione di procedure certe e trasparenti, contraddistinte dalla presenza di informazioni accurate e tempestive.