La startup che elimina i tabù sulle patologie del corpo femminile

Scritto da Roberta Persichino
Content editor

Gaia Salizzoni, co-founder di Hale, ci ha raccontato cosa significa creare una startup per supportare persone con patologie legate al corpo femminile e superare i tabù sociali

Gaia e Vittoria Brolis sono le fondatrici di Hale, una community online per chi soffre di condizioni di dolore pelvico cronico, come vulvodinia ed endometriosi. Una piattaforma digitale che crea percorsi personalizzati di psicologia e sessuologia, con l’obiettivo non solo di condividere informazioni ed esperienze ma anche di indirizzare chiunque ne faccia parte a prendersi cura del proprio benessere fisico e mentale. L’idea nasce dall’esigenza di colmare un vuoto sanitario nel trattamento delle patologie del pavimento pelvico, sulle quali la ricerca è ancora esigua e sotto finanziata. Ma ad impattare sulle condizioni di disagio di chi ne soffre sono anche lo stigma e i tabù sociali, trattandosi di patologie che riguardano la sfera intima e la sessualità. Eppure, ne soffre il 26% della popolazione con un corpo femminile. Gaia e Vittoria sono due giovani donne, due giovani imprenditrici unite per abbattere gli stigmi sociali e ottenere risultati importanti nell’ambito della sanità. Un percorso che parte dal basso, da chi ne soffre, e cerca di espandersi il più possibile. Un grande progetto a forte impatto sociale confermato dalla partecipazione di Hale al Social Innovation Tournament, un programma che seleziona ogni anno le migliori imprese a impatto sociale, etico o ambientale tra più di 27 paesi, dell’European Investment Bank Institute (EIB): “A fine settembre siamo andate a Vienna abbiamo presentato la nostra idea davanti ad una giuria mista di vario calibro – ci ha raccontato Gaia Salizzoni – C’erano cinque premi e noi abbiamo vinto quello del pubblico”.

Di cosa parliamo?

Come nasce l’idea

Hale nasce circa un anno fa come community online, da un profilo Instagram condiviso attraverso il quale le due fondatrici hanno raccontato le proprie esperienze di convivenza con il dolore pelvico cronico. Dalla condivisione delle loro testimonianze è nata una rete, composta sia da persone che condividono lo stesso problema sia da partner che, in maniera indiretta, sono testimoni del dolore.  “Le patologie di cui parliamo sono molto frequenti, molto comuni – ci spiega Gaia – ma sconosciute sia da un punto di vista informativo che di ricerca dati, quindi di soluzioni, di terapie e protocolli, nel pubblico e nel privato. La community nasce quindi dalla volontà di sentirsi non solo meno soli, ma di scambiarsi consigli pratici a livello quotidiano”.

In cosa consiste

Hanno iniziato a fare informazione, chiara, semplice ma affidabile e mai scontata: sia su argomenti alla base della convivenza con queste patologie, sia su temi più specifici e complessi che approfondiscono nel progetto editoriale.
Il vero grande passo è avvenuto nella primavera di questo anno quando Gaia e Vittoria sono riuscite a portare il loro progetto ad un livello superiore: “Con le nostre competenze, unite a quelle delle persone della community e di esperte scientifiche abbiamo costruito il servizio che offriamo oggi: Wave. – racconta Gaia – Un supporto di mental health per chi soffre di dolore pelvico cronico, che impatta molto sulla quotidianità, non solo nella sfera relazionale ma anche lavorativa o su cose semplici come viaggiare. Si inizia con un questionario che aiuta a costruire un percorso specifico per ogni utente e viene poi riproposto a metà e fine del percorso, costruito a partire dalla sessuologia e la psicoterapia”. Una vera e propria terapia digitale dato che le patologie legate al pavimento pelvico vengono affrontate in maniera multidisciplinare e l’aspetto psicologico è davvero importante, non solo ai fini della guarigione ma per poter accettare una condizione di dolore cronico che ha una durata prolungata e condiziona la quotidianità.

L’impatto sulla società

“Misurare l’impatto in questi progetti è molto difficile” – precisa subito Gaia. Grazie al percorso con l’European Investment Bank Institute (EIB) hanno imparato a misurarlo ma resta sempre un aspetto critico. Per avere un’idea, basti pensare che hanno 9500 follower su Instagram insieme a tutte le persone coinvolte nei canali privati come Telegram, attraverso i quali vengono stimolate quotidianamente con contenuti ad hoc. Rilasciano tante interviste, in questo modo coinvolgono altri media, anche all’estero, avendo la base della startup a Berlino. Per quanto riguarda il servizio Wave, possono contare su circa 70 utenti che hanno beneficiato e stanno beneficiando dei percorsi costruiti sulla base dei questionari. Il target degli utenti sembrerebbe scontato, ma non è così: “Principalmente pazienti – ci spiega Gaia – ma una fascia importante che non viene presa in considerazione sono i partner. Per esempio, su Instagram il 20% sono uomini, presumibilmente partner di persone che hanno queste patologie e che chiedono un attivo supporto da parte nostra per gestire la relazione”. Infine, le due fondatrici di Hale si sono occupate anche dell’ambito sportivo: “Abbiamo fatto un progetto con una squadra di pallavolo del Trentino, e ci siamo accorte che fisioterapisti, allenatori, preparatori atletici delle squadre sportive sono molto interessati a conoscere il funzionamento del corpo delle loro atlete”.

Il grande ostacolo

Parlare di malattie che riguardano il corpo femminile risulta sempre molto difficile: il primo vero ostacolo viene proprio da chi ne soffre, ovvero da coloro che incontrano una difficoltà a parlare di qualcosa che attiene alla sfera intima, personale. Ad acuire le difficoltà è anche il sistema pubblico sanitario, nazionale e non solo, talvolta non preparato ad affrontare questo tipo di patologie. “C’è un problema di istruzione delle figure specializzate su queste tematiche – ci spiega meglio Gaia – quindi abbiamo trovato ostacoli nel consigliare specialisti, persone con cui fare informazione”.

Un’impresa al femminile per le donne

Il fatto che le due fondatrici siano donne aiuta sicuramente a parlare del corpo femminile e delle patologie ad esso legate, ma Hale è anche una startup digitale e sostenibile a 360 gradi che rappresenta un esempio virtuoso di imprenditoria femminile. “Essendo first time founder siamo giovani, abbiamo poche risorse e poca conoscenza. – spiega Gaia – Tendenzialmente le donne vengono meno educate allo spirito imprenditoriale, da quando siamo piccole e in diverse sfere. Ci si trova spesso davanti ad ostacoli concreti: come confrontarsi con investitori che preferiscono investire su startup di uomini.
Il progetto è nuovo e la strada in salita, “ma non vuol dire che non ci riusciremo, ci sono ostacoli strutturali ma si supereranno – ci incoraggia Gaia – La cosa positiva è che in questi anni c’è molta attenzione all’imprenditoria femminile perché è molto scarsa a livello di numeri, quindi ci sono tante opportunità per fondatrici che ci stanno aiutando.”